giovedì 18 agosto 2011

E a Francoforte... come va?



Un nuovo dogma s'é fatto strada fra i già numerosi dogmi che guidano le nostre vite: c'é la crisi. Ci sono gli speculatori. Il nostro buon Governo ce la sta mettendo tutta per contrastare il nemico piovuto dal cielo: è giunto persino - e a gran malincuore - a tassare gli abbienti, quando - da che mondo è mondo - è d'uopo che ad essere tassati debbano essere solo i redditi medio-bassi. Stando alle ultimissime voci, pare che si riesca anche stavolta ad evitare questa empietà. Ce lo auguriamo: mai vorremmo che chi ha la grana aiutasse chi non la ha. I poveracci (Bossi, 2011) debbono farcela da soli, ché fuori il mondo è cattivo, e se non ce la fanno peggio per loro, niente Tfr. Anzi, niente Tfr comunque e a nessuno, tié.
Ma gli apprezzati sforzi del nostro buon Governo paiono inefficaci, la crisi incombe con tutta la sua minacciosa protervia, e se è vero che è scoppiata a sud, è altrettanto ovvio che il mandante risieda a nord.
Ancora una volta, l'ennesima, la Germania è al centro della Storia. Se non accetterà la proposta del Ministro Tremonti (spavaldo popolano da tempo infiltrato nella Massoneria per sgominarla dall'interno con le sue sole forze), giornalisticamente epitetata "eurobond", non ci sarà scampo per nessuno di noi.
Cosa fare? Come agire? Ben poco è fattibile. Sono giorni bui, e anche all'ombra non ci sono meno di trenta gradi.
Quel che si può fare è non perdere la calma. La calma è la virtù dei forti, dice un detto. Non lasciamoci trascinare da infinite polemiche, lamentele o risse: chi perde lucidità fa il gioco dei poteri forti. Anzi, proprio in tempi come questi occorrono umanità, comprensione, pazienza, tatto e savoir faire. Insomma, ci vuole Garbo.


Ed eccolo qui. Garbo, in arte Renato Abate, poeta iconoclasta e grande innovatore, con poche, accurate parole riassume perfettamente il mondo in una canzone.

Una birra, fumo, musica
E dopo tu
Soltanto questo muro
non ha freddo qui
qui
A Berlino che giorno è?
A Berlino che giorno è?
A Berlino che giorno è?
Se poi la nebbia entra anche dai vetri
A Berlino non penso mai
Sì, si può vivere
Non sogno mai
A Berlino che giorno è?
Guardo le strade, non so
che giorno è?
Sigarette, la mia radio
E ancora tu
Noi e questo dubbio, una stanza in tre
Che giorno è?
A Berlino che giorno è?
A Berlino che giorno è?
Se poi di notte guardiamo le vetrine
A Berlino non penso mai
Si, si può vivere
Non sogno mai
A Berlino che giorno è?
Sì, si può vivere
Un giorno in più


Una struggente ballata dell'uomo comune, dell'uomo di oggi. Travolto dalla crisi, non se ne cura. Chi di noi si cura di quanto i governanti tramano nelle stanze del potere? Pochi o nessuno, non prendiamoci in giro. Se così non fosse, non avremmo governanti che tramano. Garbo è abile nel trasfigurare l'Uomo sino a renderlo un'ombra, un'invisibile di sclaviana memoria (anzi, memoriE), un burattino: si osservi l'acuta dispositio lessicale dei primi due versi: Una birra, fumo, musica/ e DOPO tu. L'Uomo viene dopo. Il vizio è più importante. Quale vizio? Beh, tre di essi sono elencati; manca il quarto, il più ovvio, ma lo troviamo nei versi successivi, quando la passione carnale ha raggiunto livelli tali che soltanto questo muro/ non ha freddo qui.
"Qui" dove? Come sottolineato anche dalla ripetizione-a-capo*, siamo ad uno snodo fondamentale. È evidente che "Berlino" sia un riferimento, piuttosto vago, alla Germania. Probabilmente Garbo intendeva riferirsi a Francoforte, sede della BCE, ma ha scelto la capitale per ovvi motivi di comprensione; ricordiamoci che egli si rivolge (e, con un'operazione mimetica, si identifica nel) al volgo, all'homo comunens, il quale ignora che la sarabanda del potere si sia trasferito sulle rive del Meno. A tal proposito, c'é chi afferma che questa canzone sia stata scritta nel 1981, ma appare chiaro come tale voce sia, anche in questo caso, un'ovvia operazione di marketing: l'homo comunens ragiona ancora per blocchi contrapposti, occorre servirgli guerra fredda, comunismo e anni '80, altrimenti non capisce.

D'altronde, come può capire se nemmeno ha voglia di capire? A Berlino non penso mai, dice Garbo. Non ci pensa perché non vuole pensarci, è già difficile vivere secondo i ritmi imposti dalla società. Una vita è possibile averla ("Sì, si può vivere"), a patto che non si rifletta, che ci si concentri sulle cose concrete, i problemi quotidiani, la burocrazia, i late late show (ecco perché l'Uomo "non sogna mai", ove "sogna" sta per "dorme"). Sì, si può vivere, ma da automa, facendosi scivolare addosso, una dopo l'altra, giornate tutte uguali. E allora a Berlino che giorno è? È un giorno come un altro: c'é da fare la spesa, registrare I Simpson, andare al lavoro e bere qualche bicchierino giù al bar prima di andare a non-sognare.

In questa visione straniante della Vita, il vizio ha un ruolo fondamentale, quasi da educatore. È il vizio, in quanto virtuale "premio" di fine giornata, a fornire un pretesto per continuare a campare, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Garbo ben lo sa, e pertanto lo sottolinea una seconda volta. Stavolta la scelta ricade su sigarette e radio; di nuovo musica e fumo, già incontrati nel primo verso, ma caricati, ora, di significati diversi: se prima il "fumo" stava palesemente per "stupefacenti", le "sigarette" ora rappresentano un vizio ormai accettato dalla società.
Idem per la "musica": l'underground di certo no, ma la radio è presente in tutte le case. Garbo parrebbe dunque aver abdicato del tutto al conformismo (a confermarlo, il suo sguardo perso nel vuoto). Eppure, proprio in quanto disponibili a chiunque, grandi e piccini, cotali vizi sono ancor più pericolosi, a maggior ragione se incoraggiati dai governanti. Ed allora non appare fuorviante il nuovo riferimento al sesso, ormai sdoganato in tutte le sue forme e contorsioni, ravvisabile nella stanza in tre e nel costante dubbio che perplime un essere umano oggi decisamente confuso, per quel che concerne la sfera sessuale. Anzi, per quel che concerne l'intera sfera del sociale, giacché è inutile pensare, progettare il futuro, uscire con amici e partner, se poi di notte guardiamo le vetrine, perdipiù di negozi in cui, visti i prezzi, non metteremo mai piede.

È allora davvero destinato alla sconfitta il cittadino italo-europeo? Garbo pare non avere risposta: guardo le strade, non so/ che giorno è? è la domanda che pone al centro del suo componimento, fulcro di tutta la riflessione.
Se guardiamo le strade, vediamo gente che compra, che spende, che cambia telefonino più di quanto si cambi le mutande, che, pur non lavorando, compra libri e fumetti in quantità non disprezzabili. La domanda sorge dunque spontanea: ci sarà davvero questa crisi?

Inano cercar risposta. Quel poco che noi cittadini comuni possiamo fare, oltre a non votare i governanti, è vivere senza sognare, e campare un altro giorno. È pur sempre un giorno in più. Accontentiamoci, e ripartiamo assieme all'economia.

Con la nostra camminata da burattino, splendidamente simulata da Garbo - profeta dell'avvenire - nell'intramontabile videoclip.




*in questa occasione il Garbo si produce in una vera e propria giostra di retorica, mixa a-capo con ripetizione, shakera con un enjambement nascosto e sforna una sineddoche che è un'ultrasema (il sema di un sema di un sema).

lunedì 8 agosto 2011

CHE FÉ JOSÉ? (sul motivo di Caffé Kosé)




C'é José Altafini, che ha lasciato delle tracce nella Storia dell'Uomo, ma quella più indelebile è il cucujanji, per cui...

C'é José Angel, che è un punto interrogativo vivente...

C'é José Carioca, che da bimbo amavo, ma che non frequento da anni...


Chi non c'é è José Saramago. E' morto, la vecchiaia se l'é portato via, e per la vecchiaia non c'é Binetti che tenga, prima o poi hai da morì. Se volessi essere retorico, potrei dire che tuttosommato José c'é ancora, che vive tramite i suoi scritti. Non è così: sono gli scritti a vivere, e di lui trattengono solo immagini impresse, come fotografie. Lui in quanto lui è proprio morto, non c'é più. Lo so per certo perché si sente, che non c'é più. Lui era uno che a 86-87 anni, con un Nobel e una luminosa carriera sul groppone, apriva i blog e cominciava a rompere le palle a tutto e tutti. Non gli piaceva niente, a José Saramago, c'aveva da ridire su tutto. E faceva bene, perché alla fine aveva ragione praticamente sempre. Sebbene io non fossi (e non sia) d'accordo su tutto quel che scriveva in quel quasi-anno blogghereccio, aveva proprio ragione. E' un dato di fatto, non una mia opinione. La mia opinione è quella di Umberto Eco: era simpatico, tutto qua. Era simpatico come può esserlo un Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento, che poi era quello che faceva col suo blog. Che poi è quello che piacerebbe fare a me. Ma io a 20 anni non ne ero in grado, a 23 sono pure peggiorato. Lui, a 86, sì. Voglio dire, a quell'età - se mai ci arriverò - io sarò completamente rincretinito dall'alzheimer, dalla tv e dai fumetti.
È anche per questo che mi piacerebbe che in quell'universo parallelo, quello in cui lui è vivo e io sono più sveglio, lui continuasse a rompere le palle al mondo col blog, e io lì a commentarlo, a imitarlo e a sostituirlo dopo la sua ultracentenaria dipartita (anche in quell'U.P. la Binetti sarebbe sconfitta) fino a 86-87 anni, quando, completamente rincretinito da sessant'anni di blog, lascerei la valle di lacrime consapevole che nulla sarebbe cambiato. Però mi sarei divertito.

E vabbé, ci tocca stare in questo, di universo. Cioé, MI tocca, José se n'é ito.
José, sei ancora utile, te decidi a tornà? Cùsa l'é che te fé, lì dove te sei, tûto il santo giorno?