martedì 31 agosto 2010

De Nicola Vendolae ars dicendi

http://www.repubblica.it/politica/2010/08/25/news/primarie_subito_poi_le_alleanze_parlando_anche_coi_cattolici-6493430/


Spesso si sente dire in giro che la lingua italiana sta morendo, pugnalata con ferocia da anglicismi, americanismi, esse-emme-essismi, tecnicismi (pseudo) giornalistici e giornalismi (pseudo) tecnicistici, e chi ismi ne ha più ne metta. Eppure, si dice in giro, personaggi come Nicola Vendola sanno attrarre a sé le attenzioni di molti grazie ad un sapiente utilizzo del nostro vernacolo.

Nicola Vendola arricchisce le sue locuzioni con termini insoliti, metafore ardite, soluzioni nuove e riusi dimenticati. Non lo fa mai per caso o per convinzione. Lo fa perché lui parla proprio in quel modo, e in nessun altro, e se parlasse come un Bersani o un Casini non sarebbe più lui. Vendola deve "sparigliare le acque del centrosinistra": potrebbe, che so, "porsi come nuovo punto di riferimento della sinistra (o centro-sinistra) italiana"; oppure, chissà, le "acque" potrebbe ripulirle, drenarle, prosciugarle, rimestarle, agitarle: no, lui deve "sparigliarle". Se non le spariglia non se ne fa niente, punto e basta.
Allo stesso modo la politica italiana è un "verminaio", e lo scenario in cui ci muoviamo è "verminoso". Poteva dire "letamaio" e "letamoso", ma Vendola non ama la volgarità nuda e cruda (anche se, magari, scappa la parolaccia anche a lui, ma la dice in un modo tale che è impossibile arrabbiarsi). Il verme è animale strisciante, subdolo, che dà, sì, senso di sporco, ma è uno sporco lontano, distante, qualcosa che non conosciamo e che deve far paura: tutti facciamo la cacca, e nessuno si scandalizza più se parli di "letame"; ma col "verme" vai sul sicuro, ché il viscidume fa molto più senso.
Perdipiù "verme" è retaggio del passato, si usava fra gli altoborghesi assieme a "fellone", "zotico" e altri insulti del genere, che oggi fanno solo ridere, e chi li riceve, e chi li esclama. Vendola è riuscito a ridare lustro al termine, ad introdurlo fra il pubblico giovanile - che gli è particolarmente caro -, accontentando al contempo i vecchi, speranzosi che i proverbiali 'tempi di una volta' possano un giorno ritornare (al più presto, se possibile).

Insomma, Vendola adotta la tecnica del riuso di brioschiana memoria, la plasma a suo piacimento, riunisce il padre con il figlio, l'altoborghese con la casalinga (oggi la differenza è minima), il contadino con l'industriale. Dice loro: guardate che abbiamo un nemico comune, basta litigare fra di noi, perdipiù con parole sguaiate, uniamoci e combattiamo. Senza violenza, solo con le parole. Nell'additare il nemico (identificato di volta in volta con un "ismo" differente - politicismo, berlusconismo, trasformismo, qualunquismo, scambismo, ... -, e chi ha un poco di cultura nozionistica sa quanto male hanno prodotto gli "ismi" del secolo vigesimo!) egli lo presuppone come superiore, certo, ma battibile. A questo proposito, fondamentale gli risulta la metafora arboricola.

Per sradicare un albero, si sa, è necessario tutto un armamentario dal costo, in termini economici e umani, non indifferente; mica si sradicano a mani nude. Quindi ci vuole molta fatica, ma alla fine ci si riesce. La stessa cosa, per Vendola, accade con la politica: le cricche, le caste, sono i rami di quel grosso albero che è il sistema dei partiti italiano, con le sue radici ben piantate alle poltrone; un "albero di pregiudizi", a cui non bisogna "impiccarsi" (riuscita metafora dell'arresa), ma che bisogna potare e rinfrescare con acqua nuova (precedentemente sparigliata, si presume). Come detto, occorre tutto un armamentario costoso per intraprendere operazioni del genere. Ed ecco che Vendola parla di "cantiere" per indicare la sua strategia, ed accontentare così gli operai; ma poi si rituffa sull'ecologia: la coalizione non dev'essere formata da tanti "cespugli" grandi e piccoli, ma l'"innervatura" può e deve prevedere anche un tuffo nel mare dell'"arcipelago cattolico". Di nuovo l'erba, di nuovo l'acqua (dall'idea di isola e per metonimia). È che Vendola non pone la natura in campo lungo, medio, in totale o in piano americano: la pone in primo, primissimo piano. Se la sinistra* non vuole andare alla "deriva" (ancora mare!) deve mettere in campo (ancora erba!) idee nuove: riguardo a cosa? Al lavoro, alla vita sociale e, naturalmente, al "rapporto con la natura".

Ecco, forse, il vero obbiettivo di Vendola: egli auspica un ritorno all'antica Età dell'Oro, quando gli uomini, e le donne e gli animali e le piante, vivevano in armonia, rispettandosi l'un l'altro; l'Età in cui la parola era bandita, e si comunicava telepaticamente: fu l'invenzione della scrittura, che per sciocca convenzione consideriamo discrimine fra Preistoria e Storia, a dare l'avvio al processo di rimozione mnemonica delle nostre capacità; in parole povere: a farci dimenticare. Facciamo tanti discorsi sulla memoria, sull'importanza del 'non dimenticare', proprio perché di memoria non ne abbiamo. Per questo Vendola parla, parla in continuazione, si avventura in appassionate "interlocuzioni" (per usare una sua espressione). Per dirci, sostanzialmente, tre cose: i) parlate, anziché scrivere, perché per parlare occorre ricordarsi ciò di cui si parla, e così facendo esercitiamo la memoria; ii) parlate, parlate (e ogni tanto ascoltate) il più possibile, con (e da) tutti, perché tutti sono degni rispetto. Non vi devono essere discriminazioni di alcun tipo; iii) parlate con gusto, usate la parola giusta al momento giusto, non abbandonatevi a mode del momento, ma nemmeno a coltivazioni intellettualistiche da circolo culturale. Fondete lirismo e pop, siate scurrili ma non volgari, siamo nell'era del postmoderno, suvvia.

Vendola è chiaramente un uomo dei nostri tempi, con i suoi pregi e i suoi difetti, e si proietta in quello che dice. Raffinato paroliere, sa che la società odierna si basa sul 40% del vocabolario. Lui diffonde il restante 60%, e nel diffonderlo, diffonde sé stesso e le sue idee. Chi non lo farebbe?

*chiaramente Vendola non è un antico savio, ma un uomo dell'oggi, e per farsi comprendere non può fare a meno di rifarsi alle nomenclature ricevute in eredità da chi lo ha preceduto: senza dubbio personaggi che agivano e parlavano poco, per lo meno in pubblico.

giovedì 26 agosto 2010

La Bustina di Malerba. 5 : Come gestire una libreria remainders (1°parte); L'importanza di chiamarsi 'Classico' (2°parte)

Con i seguenti scritti (per i quali ho adottato una sorprendente - almeno per chi non è avvezzo alle problematiche della serialità - suddivisione in due parti) si concludono i pezzi del 2007, anno in cui iniziai e abbandonai questa rubrica. Logica vuole che dalla prossima settimana cominciassero gli inediti: ebbene, citerò quel noto poeta: Forse che sì, forse che no. Ma forse sì.


COME GESTIRE UNA LIBRERIA REMAINDERS-1° parte

Se avete la (s?)fortuna di abitare in Lombardia o in Piemonte, vi sarà senz'altro capitato di entrare in una famosa catena di librerie-remainders diffusa in varie città.
L'ingresso in una di queste librerie L. è un'esperienza incredibile, da provare assolutamente, se siete biblio/fumetto/carta stracciofili: centinaia e centinaia di costine multietniche vi guarderanno dall'alto degli scaffali, implorandovi di comprarli e portarli con voi a casetta vostra, ove potranno finalmente uscire dalla massa e divenire "qualcuno".

Ma come sono organizzate queste librerie? Nel caso vogliate aprirne una, ecco una rapida sequenza di topoi che dovete assolutamente rispettare.

Il potenziale acquirente, solitamente, è un biblio/fumetto/ecc.ecc.ofilo, come detto prima, e quindi un individuo strano. Se ha scelto di entrare nella vostra libreria L., potete stare certi che è alla ricerca disperata di almeno 5 libri universitari (che non vuole pagare a prezzo intero, cioè a peso d'oro, e di cui non v'è traccia nelle biblioteche) e di una tutto sommato capiente lista di volumi da acquistare per puro piacere (in ordine di bramosia: Borges, Wells e, nel caso, Sclavi, la lista della spesa di Eco e la saga della Guida di Douglas Adams), e che si è già girato tutte le altre librerie della catena presenti in città, fallendo miseramente; per dovere di cronaca, si tratta di un esemplare maschio sulla ventina, con faccia da beota, naso colante per il freddo, espressione da nerd, privo di compagna con cui riprodursi.

Il nostro eroe entra tronfio nella libreria L., sicuro che, finalmente, troverà i tomi ricercati. "Capperi, mi servono si e no una decina di libri, ne troverò almeno uno, no?"
Lapalissiano: la risposta sarà No.

Al piano terra si trova la libreria vera e propria, ovvero l'unico locale Lindo & Pulito di L..
Qui si trovano quantità immense di volumi firmati Bruno Vespa, Niccolò Ammaniti, Melissa P., Toto Cutugno e Peppino 'U Smandrappato che pubblica il suo diario privato, quello delle elementari; tutti quegli autori che sono i prossimi candidati al Nobel, insomma.
Al nostro amico, fuori dalla vita sociale comune, tutto ciò non interessa, perciò decide di scendere al piano sotterraneo.

La numerazione dei Piani è tutt'oggi oggetto di studio e ricerca da parte degli esperti; l'eminente antropologo arabo trapiantato ad Orbassano, Hòm Tuttdunpèzz, ha scritto:"Le librerie L. aprono le porte ad un altro mondo, quello letterario. L'utente deve, una volta entrato in una di esse, perdere coscienza di sè, e questo è incentivato anche dalla particolare numerazione dei piani: non 1,2,3, ma -1,0,1, a sottolineare la natura Infernale, Purgatoriale e Paradisiaca dei 3 livelli di lettura.".

Ciò corrisponde al vero, e il nostro nerd se ne accorge subito: Piano -1 (o Sotterraneo, o Sotterra (Regno di), o C/O Cito) è dedicato ai testi scolastici/universitari: cosa è più simile all'Inferno?
(Lo 0 è il piano Terra, quello col libro di Bruno Vespa, perciò ancora forma di espiazione, il 1° Piano è quello coi libri usati e a metà prezzo, la manna ricercata da ogni uomo dotato di buon senso).

I libri universitari sono disposti sullo scaffale con un sorprendente criterio matematico: il dove va', va'.
Scorrendo l'ordine alfabetico (che c'è solo per mantenere una parvenza umana e convincere l'acquirente ad infilare la mano nello scaffale) si possono trovare "Picone" in mezzo a "Brioschi" e "Brizzolati", "Aureli" fra "Vannucchi" e "Zanzariere" e un saggio sulle proprietà diuretiche dell'eucalipto nel settore (ah! ah!) Letteratura&Filosofia.
Comunque sia, all'amico servivano 5 libri, e non ne trova nemmeno uno.

Mentre il suo viso si fa a metà fra lo sconsolato e il preoccupato (e riflette sulla possibilità di rubarli a qualcuno) risale le scale, pronto a visitare la sezione remainders, ove spera in migliori fortune.

Attenzione! La salita/discesa delle scale non è un operazione da poco; non si sa in quanti e quali pericoli possono incappare gli ignari viandanti; diciamo che i nemici più diffusi sono i Sosteggiatori Chiacchieroni, gli Indecisi SuEGiù e i Sistematori degli Scaffali che sguainano con fiero cipiglio poderosi tomi pesanti come mattoni.


Remainders: il nome aleggia nell'aria come un pensiero di Costantino, penetra nel naso, inebria la mente. Il Nostro da una scorsa: scaffali zeppi di libri si stagliano di fronte a lui. "Sì, questa volta qualcosa troverò! Ah! Ah!"

Barcolla un poco quando si accorge che manco questi sono in ordine, o lo sono solo di facciata, ma non si perde d'animo ed inizia una puntigliosa ricerca.
I libri che sta esaminando con lo sguardo, probabilmente, sono stati di proprietà di un Minatore di Brembate che deve averli usati per ravvivare il camino, tanto sono nere le sue dita dopo averli presi in mano.
Scorre, scorre, e... niente. Nulla. Nisba. Nada. Non c'è neanche uno dei diecimila autori che gli interessavano.
"Ma come è possibile?"

(segue)


L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI 'CLASSICO'-2°parte

L'ormai ex-possibile acquirente scende le scale, supera gli ostacoli e fa' per andarsene, ma... cosa c'è lì? Uno scaffale che gli era sfuggito? Anzi, due? si avvicina: "CLASSICI".
"Oh, finalmente Borges!" la gioia gli sprizza da tutti i pori.

Non può credere ai suoi occhi, i libri sono in ordine perfetto, limpidissimo, tutto sembra andare alla perfezione.
"B..b..Boccaccio, Boccaccio, Boccaccio, Bocc..ancora?!? Brul, Bronte, Bronte, Bronte, Bronte, Burgess, Buzzati, C.. cosa???"
Ebbene sì, controlla una, dieci, venti volte... non c'è Borges.

Questa è un'altra regola fondamentale se si vuol costituire una libreria: mai, e sottolineo mai, bisogna avere i libri di Borges. Dimenticatevi questo nome.
Del resto, a chi mai possono interessare Finzioni, L'Aleph, Il libro di sabbia?
Mentre, potete esserne certi, tutti faranno la fila per comprare i libri di Emily Bronte, Anne Bronte, Charlotte Bronte, il cane delle Bronte, lo zio delle Bronte e chi più ne Bronte più ne metta.

Borges non è degno di apparire fra i classici. Kerouac, le millemila Bronte e Pietro l'Aretino sì.
Borges è uno scrittorucolo da quattro soldi, quei 2-3 libercoli che ha fatto non solo bisogna farli pubblicare dall'Adelphi a prezzi proibitivi pure per Bill Gates, ma non bisogna neppure esporli sugli scaffali.
Ecco, questo assioma è noto come Legge dei Libri Invendibili, la legge che, da sempre e ovunque, controlla le librerie di tutto il mondo.

L'amico se ne va, deluso e amareggiato, ma nonostante tutto la sua natura nerdosa riprende il sopravvento e lo spinge a comprare l'Almanacco del Mistero 2008, che lo allieterà e gli farà concludere degnamente la giornata.

E poi dicono che i libri son meglio dei fumetti! (a parte le Bronte)

(2007)

giovedì 19 agosto 2010

La Bustina di Malerba. 4 : Come non tifare Italia e uscirne vivi; Fumetti e treno (di GGP)

Lo scritto che vi viene (ri)proposto oggi mi attirerà le ire di almeno i due terzi della popolazione. Onde, siccome suole, ad ornare mi appresto, allegando l'unico pezzo di questa rubrica non scritto da me; è opera di un caro compagno di avventure, ed è dotato pur'egli di mente fervida. Lo ringraziamo per la gentile concessione.


COME NON TIFARE ITALIA E USCIRNE VIVI

Sapete, ci vuole un grande sforzo, sia fisico che mentale, per riuscire ad uscire vivi da una partita della Nazionale vista insieme ad amici e parenti, se si odia la Nazionale stessa (che, fra le altre cose, è la propria).
Passi per la squadra di club, ma andare contro la Nazionale di calcio è come commettere Alto Tradimento verso lo Stato per gli amanti del Bel Paese.
Come districarsi dalla buffa situazione?
Ci sono vari metodi:


1-stare zitti. Tacere per tutta la durata dell'incontro non è solo un ottimo palliativo, ma aiuta a distrarsi perchè si verrà inevitabilmente portati a pensare ad altro. Il pericolo è costituito da coloro che chiedono conferma ai loro pareri: "Ahò, ma quello era fallo! Giusto, Max?". In quel caso state pronti a risvegliarvi dal torpore cerebrale e dite sempre di sì, a qualunque cosa si riferiscano.


2-rigirare le idee dell'Altro. Il metodo consiste nel manifestare il proprio pensiero non esprimendolo apertamente, ma rivoltando il pensiero del tifoso avversario mentre egli è impegnato a seguire l'azione successiva:
"Ma crispi, ma questo qua era rigore grande come una casa!", dirà lui. Quindi l'azione riprende e prosegue; a tal punto, voi vi infilate, quatti quatti: "Sì, ma senti...tornando a prima, secondo me non era proprio 'sto gran rigore... no, direi proprio di no".
In tal modo l'utente assorbirà il vostro commento e lo memorizzerà, ma sarà troppo concentrato sul pallone perso da Ambrosini per leggerlo; ma voi avrete la coscienza a posto.


3-fingete di tifare Italia. Questo metodo sarebbe da sconsigliare in quanto palesemente disonesto, ma, in casi particolarmente perigliosi, è possibile alleviare la pena indossando la tenuta da Tifoso Italiano (tuta, sciarpa, maglia e amenità del genere). Consiste nell'accomodarsi su una sedia ponendo le mani sotto un tavolo - che deve essere, mi raccomando, piuttosto ampio - e, in caso di gol dell'avversario dell'Italia, nell'imprecare vistosamente: nella baraonda generata dall'insieme di insulti (per non dire di peggio), potrete tranquillamente esultare a pugno chiuso sottobanco per un po' di minuti, fino a che la palla non torna a centrocampo.

4-fate domande e commentate costantemente. Un buon metodo è anche quello di esprimere un proprio commento-lamentela su ogni argomento sul quale sapete già che gli altri concordano. Nel caso della Nazionale italiana, specialmente se trasmessa da RaiUno, potete sbizzarrirvi; eccone un piccolo campione da sfoderare al momento opportuno:
"Ehi, certo che Civoli ha proprio una voce antipatica"
"Cavolo, ma Capello doveva far l'allenatore, mica star qua che, tra l'altro, si piglia una valanga di soldi per dire due fesserie"
"Uff! Ma quanti minispot fanno?"
"Oh, ma certo che la maglietta bianca è proprio brutta!"
"Oh, ma se piove, il campo è bagnato!"
"Oh, ma un altro minispot?!?"
"Eh però Zambrotta oramai non è più quello di una volta"
"Guardate lo stadio com'è pieno!!"
"Ehi, volete due patatine?"
"Eh certo che col digitale terrestre si vede meglio che senza"
"Cavoli! Ma siamo già al 36°?"
"Ma quando danno la linea a Carlo Paris? Che ci sta a fare se non lo fanno mai parlare?"
"Certo che Donadoni è proprio un raccomandato"
"Io cambierei" x "con" y
"Io farei entrare" x
"Uè, dopo la partita fanno Arma Letale 2! Bello! A voi piace?"

Questi sono solo alcuni dei metodi utilizzati dai tifosi di calcio anti-Italiani che hanno la faccia tosta (o la sventura) di risiedere in Italia.
Ma, a quanto pare, ne sono rimasti pochi.

Nel caso, io non vi ho detto niente, eh?

(2007)


FUMETTI E TRENO (di GGP)

Il treno è una manna per l'appassionato di fumetti. La tratta Padova - Venezia è perfetta. Percorsa su un treno interregionale dura esattamente il tempo necessario per leggere un comune albo di formato bonelliano, mentre se avete da leggere uno speciale o un albo di lunghezza simile è consigliabile prendere un regionale. Se invece dovete leggere un gigante niente paura: Trenitalia vi viene incontro con ritardi perfettamente studiati all'uopo.
Ovviamente si va incontro agli sguardi di disapprovazione di chi sta leggendo Cosmopolitan o Grazia, e pensa che chi legge un fumetto dopo l'età di sette anni sia un demente (probabilmente pensano che chiunque legga qualcosa senza foto patinate sia un demente, ma questo è un altro discorso); a questo inconveniente c'è un rimedio: prima di estrarre la vostra copia di fumetto acquistata fragrante all'edicola della stazione (quel luogo dove ormai vi trattano come un figlio, o meglio come colui che dà da mangiare ai loro figli), guardate con assoluto disprezzo il lettore di riviste, poi con sussiego immergetevi nella lettura del vostro Martin Mystere e rialzate gli occhi solo a fine percorso.
Il vero problema della lettura in treno possono essere i rumori molesti: non mi riferisco al confortante To-Des-Ca-Deng della ruota sulla rotaia che anzi concilia la lettura, ma alla strana fauna che sembra popolare i treni. Esiste un po' di tutto: dai vecchiotti che parlano dei loro acciacchi (questa specie, non troppo fastidiosa, in realtà sembra però essere in via d'estinzione), ai finti manager (che in realtà sono truffatori) ai quali deve suonare per forza il telefonino duecentoquattordici volte in dieci minuti (in realtà sono loro stessi che si chiamano con il secondo cellulare, ma il manager DEVE parlare al telefonino quindi si calano nel ruolo), ai bambini delle medie che armeggiano sempre sui telefonini e provano tutte le 517 suonerie del loro nuovo Nokia 76153974 bis "tifaccioancheilcaffè"; per non parlare dei bambini dell'università (di solito appartenenti alla facoltà di economia e commercio di Ca' Foscari) che devono mettere l'intero vagone al corrente delle loro avventure erotiche con un preservativo al mango e papaia (sic).
Questi inconvenienti possono rovinare la lettura comoda e rilassata del fumetto prescelto: esiste però una strategia per evitare il problema, che consiste nel premunirsi portando con sè un riproduttore di musica dotato di auricolari, caricato con della musica che si è già sperimentato essere innocua e conciliante alla lettura.
E ora che conoscete tutti i pericoli, buona lettura!


(2007)

martedì 17 agosto 2010

È UN GOMBLODDO DELLA ZINIZDRA, EPPEFFORZA.

Dev'essere una predisposizione genetica, se io e il concetto di espresso non andiamo d'accordo. Forse è perché per il nostro Paese esso è motivo di vanto (è arcinoto che, all'estero, le parole italiane più diffuse siano 'spaghetti', 'capuccino' - con una 'p' - ed 'espresso'), e quando qualcuno si vanta di qualcosa io tendo ad avversare e il qualcosa e il qualcuno (non vorrete privare questo giovane disoccupato di un ultimo svago?).

"Espresso" è sinonimo di celerità, affidabilità, italianità.

Eppure per me si identifica con i corrispettivi opposti.

Ad esempio, compro dei fascicoli da un ente-editore, il quale, non pago di avermi già lasciato perplesso di suo, si rivolge ad un "corriere espresso" per l'invio (invio che io pago). Il corriere espresso, per definizione, deve essere rapido ed efficiente. Ovviamente così non è e, fra telefonate mancate (da parte loro) e telefonate pagate (da parte mia), l'arrivo dei fascicoli avviene tre settimane dopo l'acquisto.

Ma, dice, se gli espressi non sono veloci, saranno almeno affidabili, non nel senso dell'efficienza (già persa), ma della fiducia. Non mi ritengo di "sinistra" in senso italiano (né, per par condicio, mi riconosco nella "destra" del nostro Paese), anche se, dato che bisogna etichettare ed essere etichettati per poter godere di un qualche vago riconoscimento, mi colloco dalla parte che fu, ai bei tempi, attribuito al Femminino Sacro (e, purtroppo, a Crispi). Quello a cui voglio arrivare è che, dell'"Espresso" (la rivista), mi sono sempre fidato. Sicché, dopo vario rimuginare, decido di iscrivermici, onde lasciare qualche mia riflessione. Mi sbrigo, ché devo pure scollegarmi, inserisco dati personali, dò, di malavoglia, il mio assenso al loro parziale trattamento, inoltro, ricevo, confermo e comincio a scrivere il mio primo commento, tutto ringalluzzito. La rubrica di Eco (la Bustina di Minerva) ospita vari commenti, i quali, leggendoli attentamente, non paiono brillare per particolare acume o raffinatezza; pertanto, penso, il mio passerà, nella peggiore delle ipotesi, inosservato. Commento l'ultima "Bustina", e mi pare di scrivere una cosa non proprio da cestino, in ogni caso non più illeggibile di quelle degli altri. Il giorno successivo, rientro nel sito e scopro che l'intera "Bustina", commenti inclusi, è stata cancellata. È proprio vero che le certezze sono come i castelli di carte, che basta un niente per farle crollare.

E veniamo ora all''espresso' forse più conosciuto: quello da bere. Direte: almeno con quello non avrai problemi. E invece le moke (moche? le moka? le mokò?) che utilizziamo in casa fanno un caffé allucinante. Altro che italianità: pare di bere caffé americano. La beffa è che quelle caffettiere le ho comprate io, convinto di aver sostituito degnamente quelle, incredibilmente peggiori, che avevamo prima. Beh, sì, le ho sostituite degnamente: non proprio come volevo io, però.

Dev'essere una predisposizione genetica, sì. O forse, nei miei casi, si è trattata di semplice sfiga. Più probabilmente una teoria non esclude l'altra: mi sa che ho una predisposizione genetica alla sfiga.



POSTILLA:

Ho scritto questo post due giorni fa, ma non sono riuscito a pubblicarlo prima di oggi. Ma è stato un bene, in quanto nel frattempo sono accaduti ben due fatti misteriosi. Il primo è che oggi è morto Cossiga, fu Presidente Emerito che fu Presidente in carica quando nacqui io: il mio primo Presidente, insomma. Buon per lui che i miei primi ricordi personali si addensano intorno al '92, quando lui finì il mandato, così posso parlarne male solo riferendomi agli ultimi 15-20 circa, quando era già vecchio e rincitrullito (dall'età). Il secondo fatto è che, controllo dell'ultimo minuto, quella pagina dell'Espresso di cui parlavo sopra è stata ripubblicata oggi, mio commento incluso. Qual é il nesso? È che lì compare il Cossiga più puro, in una bella foto d'antan, con cappello di piume in testa, a simboleggiarne l'agone politico che l'agitava e che contribuiva ad agitare ("seppelliamo l'ascia - o piccone - di guerra!" e "hoka-hey!"). Perché ripubblicarla (sembrerebbe essere una pagina del 4 Luglio '96)? E perché proprio oggi? Come sappiamo, fu Cossiga ad appoggiare il governo D'Alema, succeduto a quello di Prodi del '96. Cosa significa tutto questo? Sono solo coincidenze? Quali enigmatici fili lega Cossiga, la morte, Umberto Eco, i commenti del sottoscritto? Oggi è morto Cossiga; oggi ho letto un libro di Eco (ma anche i fascicoli di cui parlo più sopra!); oggi la rubrica di Eco con il mio commento è stata ripubblicata (sbugiardando il post, quindi oggi il post è morto); io sono nato con Cossiga Presidente; la rubrica si riferisce a Cossiga. E' chiaro che c'é qualcosa sotto, altro che Ustica.
Oggi ho pure avuto un mal di testa di quelli miei: visto l'andazzo, forse ho rischiato di morire. O forse mi serve solamente del caffé. Non il mio, possibilmente.

sabato 14 agosto 2010

Si amava meglio quando si amava peggio?





L'Amor, che move il sole e l'altre stelle/ più brillarelle che c'hai/ Roma, nun fa la stupida/ e prendi questa mano/ Zingara

Così incominciava una famosa canzone postmoderna. Essa toccava temi universali, e, fra questi, anche quello di cui discorreremo noi. No, non la Città Eterna o i rom: bensì l'Amore.
L'Amore è un tema universale (ma anche metrogoldwinmayerale, columbiale, pixarale, ecc.) perché riguarda tutti, nessuno escluso, a parte coloro che non si sono mai innamorati, e quindi non sanno cosa sia, l'Amore, però riguarda anche loro, perché è difficile credere che non abbiano avuto mai una cottarella, ed ecco che, come dicevo, riguarda proprio tutti.

Si dice che oggigiorno nessuno creda più nell'Amore vero, puro, eterno; non quello che è bello finché dura, ma che è bello sempre, perché dura sempre. Dura lex sed lex: chi l'ha dura la vince, da cui Duracell, la batteria che dura più delle altre, e l'Amore è una energia meravigliosa che rende l'animo invincibile. Eh, sì: nulla accade per caso.
Ma sarà davvero così?
Davvero oggigiorno nessuno crede più all'Amore? I fatti (anche i miei) sembrerebbero provarlo. Quanto è bello vedere quelle coppiette sposate da cinquant'anni giurarsi ancora Amore sempiterno, sino alla morte: forse lo fanno perché gli manca poco, dicono i maligni, ma più probabilmente sono sinceri.
Eppure, eppure...se in un mondo privo di valori è chi è privo di valori a costituire la maggioranza, e la maggioranza se è maggioranza un motivo ci sarà, forse non è vero che chi è privo di valori ne è davvero privo, forse la scala di valori si è semplicemente ribaltata.
Useremo in maniera quasi dogmatica il metodo empirico che i nostri avi ci hanno tramandato, e procederemo, quindi, con un semplice confronto fra un Grande del passato e un Grande dei nostri tempi, entrambi impegnati in appassionate dichiarazioni d'amore alle corrispettive donne. Subito una cosa appare lampante: entrambi sembrano provare una qualche forma d'Amore, indipendentemente dalla collocazione spazio-temporale. E' proprio vero che l'Amore supera i confini, appunto, spazio-temporali.

Mi sono innamorato di te
perché
non avevo niente da fare
il giorno
volevo qualcuno da incontrare
la notte
volevo qualcosa da sognare
Mi sono innamorato di te
perché
non potevo più stare solo
il giorno
volevo parlare dei miei sogni
la notte
parlare d'amore
Ed ora
che avrei mille cose da fare
io sento i miei sogni svanire
ma non so più pensare
a nient'altro che a te
Mi sono innamorato di te
e adesso
non so neppure io cosa fare
il giorno
mi pento d'averti incontrato
la notte
ti vengo a cercare.

Una canzone che pare una poesia. Prerogativa delle poesie è essere drammatiche (non siamo ipocriti: chi reputa Campanile un poeta? Io) e qui ne abbiamo abbondanti tracce. Luigi Tenco è confuso, e noi sappiamo a cosa lo porterà, purtroppo, tale confusione. Ma è confuso perché è innamorato, su questo non v'é dubbio alcuno. Tenco lo ripete e una e due e addirittura tre volte. Del resto, uno che la notte vuole parlare d'amore, che non sa più pensare a nient'altro che alla donna amata, ha certamente conficcata nel ventricolo la freccia d'Eros.


I'm bringing sexy back
Them other boys don't know how to act
I think your special what's behind your back
So turn around and I'll pick up the slack.

Take em' to the bridge

Dirty babe
You see these shackles, baby I'm your slave
I'll let you whip me if I misbehave
It's just that no one makes me feel this way

Take em' to the chorus

Come here girl,
go ahead, be gone with it
Come to the back,
go ahead, be gone with it
VIP
Go ahead, be gone with it
Drinks on me
Go ahead, be gone with it
Let me see what you're working with
Go ahead, be gone with it
Look at those hips
Go ahead, be gone with it
You make me smile
Go ahead, be gone with it
Go ahead child
Go ahead, be gone with it
And get your sexy on
Go ahead, be gone with it

Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on

I'm bringing sexy back
Them other fuckers don't know how to act
Come let me make up for the things you lack
'Cause your burning up I gotta get it fast

Take em' to the bridge

Dirty babe
You see these shackles, baby I'm your slave
I'll let you whip me if I misbehave
It's just that no one makes me feel this way

Come here girl,
Go ahead, be gone with it
Come to the back,
go ahead, be gone with it
VIP
Go ahead, be gone with it
Drinks on me
Go ahead, be gone with it
Let me see what you're working with
Go ahead, be gone with it
Look at those hips
Go ahead, be gone with it
You make me smile
Go ahead, be gone with it
Go ahead child
Go ahead, be gone with it
And get your sexy on
Go ahead, be gone with it

Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on

You're ready?
you're ready?
you're ready?
mmm... yes!

I'm bringing sexy back
Them other fuckers wait till I attack
If that's your girl you better watch your back
'Cause she'll burn it up for me and that's a fact

Take em' to the chorus

Come here girl
Go ahead, be gone with it
Come to the back
Go ahead, be gone with it
VIP
Go ahead, be gone with it
Drinks on me
Go ahead, be gone with it
Let me see what you're working with
Go ahead, be gone with it
Look at those hips
Go ahead, be gone with it
You make me smile
Go ahead, be gone with it
Go ahead child
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it

Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on
Go ahead, be gone with it
Get your sexy on.

You're ready?... Yes!
You're ready?... Yes!
Yes


Trad.:

Sto puntando un sedere sexy
gli altri ragazzi non sanno proprio come comportarsi
penso che sia speciale, cosa c'è dietro al tuo sedere?
perciò girati ed io prenderò il mano la situazione

Voltalo verso il ponte

ragazzaccia,
vedi queste catene, baby sono tuo schiavo
ti permetterò di sculacciarmi se mi comporterò male
è che nessuno mi fa sentire in questo modo

Voltalo verso il coro

vieni qui ragazza,
và avanti, esci dal gioco
torna indietro,
và avanti, esci dal gioco
vip,
và avanti, esci dal gioco
bevi su di me,
và avanti, esci dal gioco
vedi con cosa stai lavorando
và avanti, esci dal gioco
mi fai sorridere,
và avanti, esci dal gioco
vieni qui bambina,
và avanti, esci dal gioco

metti su quella tua cosa sexy
và avanti, esci dal gioco
metti su quella tua cosa sexy
và avanti, esci dal gioco
metti su quella tua cosa sexy
và avanti, esci dal gioco...
metti su quella tua cosa sexy.

sto puntando un sedere sexy
quei figli di puttana non sanno come comportarsi
vieni, fammi compensare le cose che ti mancano
perchè ti stai accendendo ed io devo velocizzarmi

Voltalo verso il coro

ragazzaccia,
vedi queste catene, baby sono tuo schiavo
ti permetterò di sculacciarmi se mi comporterò male
è che nessuno mi fa sentire in questo modo

vieni qui ragazza,
và avanti, esci dal gioco
torna indietro,
và avanti, esci dal gioco
vip,
và avanti, esci dal gioco
bevi su di me,
và avanti, esci dal gioco
vedi con cosa stai lavorando
và avanti, esci dal gioco
mi fai sorridere,
và avanti, esci dal gioco
vieni qui bambina,
và avanti, esci dal gioco

metti su quella tua cosa sexy
và avanti, esci dal gioco
metti su quella tua cosa sexy
và avanti, esci dal gioco
metti su quella tua cosa sexy
và avanti, esci dal gioco...
metti su quella tua cosa sexy.

sei pronta?
sei pronta?
sei pronta?
mmm... sì!

sto puntando un sedere sexy
quei figli di puttana mi guardano mentre attacco
se quella è la tua ragazza, sarebbe meglio che ti guardassi alle spalle
perchè lei si sta accendendo per me, e questo è un dato di fatto

Voltalo verso il coro

vieni qui ragazza,
và avanti, esci dal gioco
torna indietro,
và avanti, esci dal gioco
vip,
và avanti, esci dal gioco
bevi su di me,
và avanti, esci dal gioco
vedi con cosa stai lavorando
và avanti, esci dal gioco
mi fai sorridere,
và avanti, esci dal gioco
vieni qui bambina,
và avanti, esci dal gioco

metti su quella tua cosa sexy
và avanti, esci dal gioco
metti su quella tua cosa sexy
và avanti, esci dal gioco
metti su quella tua cosa sexy
và avanti, esci dal gioco...
metti su quella tua cosa sexy.

Sei pronta?...sì!
Sei pronta?...sì!


Una canzone che non pare proprio una poesia e che, pertanto, forse lo è. Justin Timberlake, confuso non lo è affatto. Sono gli altri, a non sapere come comportarsi. Egli, al contrario, appena vede un sedere, sa subito cosa fare. Ma non prendetelo per maniaco: alla vista di quell'espelletore naturale, di cotal femminea maraviglia, di sì sinuose curve, il Timberlake non si mette a sbavare come un Alvaro Vitali qualsiasi. Tutt'altro: lui vede nell'ammaliante popò non un oggetto sessuale, ma qualcosa di speciale. Anziché uccidere la propria mano e lasciarla cadere, simulando sbadataggine, sulla perturbante chiappa, il Timberlake, di prim'acchito, si accorge che c'é dell'altro. È il gioco della sineddoche, della parte per il tutto, che porta il cantante di Memphis, alla vista del cul (per dirla alla dantesca), ad innamorarsi della donna tutta, della donna in quanto persona.
Ecco perché non appare del tutto fuori posto la metafora del ponte, che congiunge le due estremità opposte come Justin vuole congiungersi con la propria, spera lui, futura consorte.
Abbiamo così due autori innamorati perdutamente delle proprie partners. A differenziare Luigi e Justin sono gli stili adoperati: più aulico, ma al tempo stesso sommesso, quello del primo, in cui si respira aria democristiana ad ogni verso, in un "vorrei ma non posso" di indubbio effetto; schietto, ruvido, spigoloso, zeppo di stacchi ed enjambements si presenta il lavoro dell'americano. Dolce e soave è Tenco; martellante ed ansiogeno è Timberlake. Ad accomunarli, solo l'Amore.

Ma è proprio Amore quello di Tenco? Sembrerebbe di sì, come abbiamo già visto. Però, come sempre accade, c'é un però. Luigi Tenco - dobbiamo dargli atto di una profonda correttezza - precisa immantinente, quasi a voler porre una condizione, come se quanto dichiarerà in seguito fosse da intendersi come un patto tra contraenti, da stipularsi con convergenza assoluta, e pertanto fosse necessario mettere bene in chiaro ogni aspetto, precisa, dicevamo, di essersi innamorato perché non aveva niente da fare. E qui un campanellino d'allarme avrebbe dovuto risuonare nella sgombra mente della donna. Tenco, prosegue con nonchalance, desiderava solamente qualcuno da incontrare, qualcosa da sognare: evidentemente non potevano bastargli, che so, il fioraio sotto casa nel primo caso, o una Marilyn senza veli nel secondo. No, l'incontro di cui Tenco parla è un incontro d'altro tipo, simile, in prima battuta e se vogliamo, ad un ponte (ah, i topos dell'arte poetica!). Ma se per il Timberlake il ponte è teso a suggellare un'unione profonda, pur utilizzando una immagine decisamente dirty, per Tenco avviene l'inverso, ed è l'afflato poetico a tradursi, nella realtà, in qualcosa che definire banale è dir ancora poco.
Ove Tenco tende a problematizzare il semplice, Justin Timberlake è più propenso a semplificare il complesso, e lo fa mediante quello stratagemma che si suol etichettare come 'reductio ad libidum': Timberlake, per parlar chiaro, la butta sul sesso, consapevole che le generazioni a cui si rivolge sono use a quello e pochissimi altri concetti, e l'intento suo non è altro che introiettare l'Amore alla sciamannata gioventù che lo (e ci) circonda.
Sicché, mentre per lo yankee tutto procede a gonfie vele, per Tenco subentra lo spleen, uno spleen tipico di chi è in continua cerca di ciò che non conosce, e che pare non trovar mai. Pertanto, lo sfortunato cantautore sperimenta, dello spleen, il più evidente dei sintomi: la contraddizione. Sente i suoi sogni svanire, ma, al contempo, ha mille pensieri per la testa. Di quale tipo? Non è possibile che tutti e mille siano rivolti a Lei, come nei versi immediatamente successivi vuole far credere; almeno un tre-quattrocento avranno riguardato altro.
Il dramma tenchiano emerge, tuttavia, più tardi, quando, dopo aver nuovamente ribadito d'essersi innamorato (è tipico di chi sa d'aver commesso qualcosa, o di chi ha qualche tarlo che lo rode, rassicurare la compagna sulle proprie convinzioni), Egli si lascia finalmente scappare l'amara verità: non so neppure io cosa fare, pare gridare, con quel grido strozzato in gola, che rassomiglia, sinistramente, a quel "Babbo!" proferito da Pinocchio dopo aver lasciato Geppetto per il malvagio Paese dei Balocchi.
Curiosamente - ma non poi così tanto - il grido viene adoperato anche dal Timberlake, e come totem ferino (certi animali utilizzano versi o gridolini particolari per attrarre la femmina), e, aiutato da un altro simulacro retorico molto in voga da qualche anno a questa parte, la parolaccia, come minaccia volta ad allontanare lo spettro dell'abbandono, qui impersonificato da coloro che vogliono sottrargli la fanciulla dal bel sedere. È che, oramai, è la donna a comandare, e questo Timberlake ben lo sa: e se la permetterà di sculacciarlo, di renderlo schiavo, è solo perché nessuna lo fa sentire in questo modo, ossia innamorato come un ragazzino. Ebbro d'Amor, direbbe un contemporaneo di Tenco.

Ed eccoci allora giunti alla fine. Luigi Tenco s'accomiata dalla donna che l'istinto l'aveva illuso di aver amato, e lo fa nel modo peggiore, addirittura pentendosi d'averla incontrata. Questo, però, di giorno, quando deve fingere d'esser uomo dei suoi tempi, tutto casa e chiesa; di notte, periodo deputato alla promiscuità e al macabro, continua a cercarla, quasi prefigurando un reato di stalking ante litteram. Persiste, Tenco, nella contraddizione, nel "dico una cosa e ne faccio un'altra", atteggiamento inopinatamente inqualificabile per ogni onest'uomo (d'ogni luogo, tempo e partito politico) che si rispetti.
Dal canto suo, Justin Timberlake lancia a chi lo ascolta un accorato appello: amatevi, fate l'amore e non la guerra, perché solo l'Amore può compensare le cose che ti mancano. E termina, lui che può, perché sa cos'é l'Amor, sul più bello, negandoci, proprio ora che eravamo pronti, la gioia della trasmigrazione dell'Amore platonico nell'Amore-copula.

Ci lascia in braghe di tela, il Timberlake. Fa bene: l'Amore vero è privilegio di pochi. E, soprattutto, è conquista, sudore, fatica, da parte di entrambe le parti in gioco. Chi pensa che per essere innamorati basti provarci e dire qualche frasetta tratta da Lialà, beh, è bene che non dorma sugli allori. Una Speranza c'é per tutti.



Si ringrazia angolotesti.it per testi e traduzione.

giovedì 12 agosto 2010

La Bustina di Malerba. 3 : Guida italiana per macchinisti


GUIDA ITALIANA PER MACCHINISTI

Nel probabile caso che qualcuno dei miei ventisei lettori sia in cerca di lavoro, suggerisco la lettura di questo decalogo durante il quale illustrerò, basandomi su svariate osservazioni condotte durante gli ultimi mesi, le procedure e le movenze che un perfetto macchinista deve realizzare per manovrare nel miglior modo possibile quell'eccezionale mezzo di locomozione che è il treno.

1)Il macchinista deve, durante la guida, alloggiare necessariamente nell'apposito vano situato nella locomotiva;
tale affermazione può apparire un'ovvietà, ma è provato che non sempre ciò avviene: capita spesso, soprattutto durante certe fermate, e special modo in caso di treni regionali, di vedere il macchinista scendere col capotreno ad aspirare del buon fumo tramite filtro; lo scopo recondito è, banalmente, aumentare le possibilità di ritardo.
2)Il macchinista deve avere come scopo primario del suo lavoro la creazione di un quantitativo soddisfacente di ritardo, quali che siano l'ora di partenza, la stazione di partenza, quella di arrivo, le condizioni climatiche;
la regola è semplice: la missione del macchinista non è portare i passeggeri a destinazione, ma giungere a destinazione (perchè l'arrivo alla meta è obbligatorio) riuscendo a collezionare quanto più ritardo possibile; la missione è spesso e volentieri richiestagli dalla società datrice di lavoro ma capita frequentemente che sia incentivata da scommesse clandestine fra macchinisti, capitreni e quant'altro. Sono piuttosto rari casi di macchinisti giustificanti il ritardo come Dono della Provvidenza.
3)Il ritardo deve essere accumulato nei modi più sfacciatamente evitabili e irritanti possibili, così da istillare odio mortale nel passeggero (spesso già snervato) e portarlo alla follia più totale;
il ventaglio di proposte a disposizione del macchinista è molto ampio: il macchinista più giovane si limiterà a partire tardi senza motivo, quello più scafato, furbescamente, si fermerà più volte in mezzo al nonnulla, quello più subdolo opterà per la sosta di venti minuti in una stazione, quello più sbarazzino percorrerà tre quarti del percorso totale a passo d'uomo.
4)Il macchinista, presa visione dei punti 1->3, non deve MAI accontentarsi di procurare ritardo, anzi, deve costantemente incentivare il fastidio verso i passeggeri;
la tecnica più usata è il Rollamento Ortocentrico: il punto ove si incontrano le altezze dei vari lati della carrozza deve costituire il fulcro di un vortice, intorno al quale tutto (finestrini, poltroncine, le pareti stesse della vettura) deve vibrare rumorosamente e muoversi con preoccupante (in realtà solo apparentemente preoccupante, almeno si spera, e sperano gli erranti viaggiatori) schizofrenia.
5)Come supplemento al punto 4, il macchinista deve far fischiare il treno senza motivo, a intervalli matematicamente irregolari;
lo scopo è dare al passeggero l'impressione di aver evitato la collisione con un altro treno per il rotto della cuffia.
6)Come complemento al punto 4, il macchinista deve produrre quanto più rumore possibile;
la soglia del dolore, corrispondente a 130 decibelSPL è già, per Legge, ampiamente superata. Il compito del macchinista, in questo caso, è semplice: i 250 dBSPL (udibili all'interno di un tornado) sono facilmente raggiungibili con qualche accorgimento(cfr.punto 4).
7)Il macchinista deve indossare sempre una tuta blu-violacea impataccata da testa a piedi di oli, grassi artificiali e zozzume a piacere.
8)Il macchinista deve evitare ogni contatto con i passeggeri e, nel caso questo non possa avvenire, deve mostrare sempre sguardo truce e mefistofelico;
lo scopo di questi ultimi 2 punti è, va da sè, incutere maggior timore ai viaggiatori.
9)Il macchinista deve sempre vedere il semaforo come di colore rosso, anche quando esso, in aperta campagna, non lo è; è tollerata, però, visto l'eccessivo ardore nel rispettare tale punto negli ultimi tempi, una certa elasticità da parte del guidatore.
10)Ultimo, ma non per importanza, il macchinista deve percepire uno stipendio adeguato alla mole di lavoro svolto; tale definizione può essere letta anche come "uno stipendio da miserabile".

Per concludere, i macchinisti costituiscono una categoria di basso livello, una sorta di Museo dei Reietti ma, come accade per tutte le categorie ime, è d'uopo ammetterne l'importanza pratica e sociologica; riguardo a certi peccatucci veniali..chi non ne ha?

(2007)

giovedì 5 agosto 2010

La Bustina di Malerba. 2 : Come stare seduti a lezione

I miei venticinque lettori (di cui ventiquattro momentaneamente assenti) mi perdonino se mi ripeterò, ma siamo ancora agli inizi e si impongono, per coloro che, sbadatamente, dovessero capitare su questo blog, e darne un'occhiata distratta, delle spiegazioni.
Nel 2007 inaugurai, su altri lidi, una rubrica settimanale che, come forse avrete intuito, si ispirava alla ben più nota Bustina di Echiana memoria. L'esperimento durò molto poco, in parte perché il lido prescelto poco si confaceva ai temi trattati, in parte perché all'epoca ero - ahimé - piuttosto lunatico, e pertanto, dopo qualche settimana, mi stancai.
Siccome sono tuttora piuttosto lunatico, mi è preso lo schiribizzo di riprenderla e riproporla alla massa, a partire da quei (pochi) pezzi già pubblicati altrove e qui ripresentati senza revisione alcuna, eccezion fatta per gli inevitabili refusi che costellano la scrittura digitale.
Cotali pezzi risalgono tutti a tre anni fa - un periodo di grande fermento creativo per il sottoscritto - : per chi volesse, può essere interessante notare le differenze fra la società odierna e il mondo appartenente a quel remoto passato.

Due precisazioni:
La "Bustina di Malerba" che dà il titolo alla rubrica, l'avrete intuito, indica la quantità di erba che sono solito fumare prima di scrivere un servizio.
Da questa puntata, e per le prossime tre, sarà ospitata la ripubblicazione di un solo pezzo per volta, dopodiché, dalla puntata successiva (la sesta, quindi), inizieranno, se Iddio e l'Ispirazione vorranno, gli inediti.

Ri-Buona lettura, ri-dunque.



COME STARE SEDUTI A LEZIONE

Chi ha la fortuna di frequentare l'università (inteso come "frequentare le lezioni, perlomeno alcune", ma non si capisce che senso avrebbe iscriversi e non presentarsi mai, a quel punto meglio accumulare conoscenze da autodidatti, reinvestendo l'enorme somma per la retta a volumi e libercoli vari), sa bene che, solitamente, i corsi "più importanti" (ma anche in questo caso la definizione è di comodo) richiamano un numero impressionante di gente affamata di sapere.
Cosa voglia sapere precisamente, è un altro discorso, su cui non mi dilungherò: il lettore certo saprà bene la situazione in cui riversa il nostro Paese, per cui non si meraviglierà scoprendo che, durante l'eloquio del professore, sbarazzine fanciulle discutono sul Nuovo Tronista di Maria, o eminenti giovanotti compiono esperimenti linguistici sul Fuorigioco Che Non C'Era. Ma questo ora non ci interessa.
La cosa che mi preme far conoscere all'umanità è la condizione disagiata dello studente, in particolare il Ritardatario.
Il ritardatario, nella definizione più comune del termine, è colui che arriva tardi.
Il "Tardi" può significare, a seconda delle circostanze, a lezione già avviata (cosa che fa infuriare il Professore, distogliendolo un momento dalla sua esposizione) o a posti già occupati, quest'ultima con la variante, molto frequente, dell'aula strabordante.
Il tapino, quindi, si ritrova costretto, per cause di forza maggiore, ad appoggiare il proprio espelletore naturale sul pavimento.
A questo punto si impone una spiegazione sul pavimento: esso, per essere conforme alle leggi, dev'essere necessariamente ricoperto da uno strato di fuliggine (la cui provenienza è tutt'ora ignota) nera come il carbone e dallo spessore di due-tre dita, così che lo studente si sporchi per bene; fiocchi di polvere devono svolazzare qua e là, irritando il naso e stimolandolo a violenti sternuti; non devono mancare, e guai a chi non provvede a rimpolparne la scorta, pezzi di carta, mozziconi di matite mangiucchiate e tappi di biro che, a giudicare dall'aspetto, risalgono probabilmente alla calata longobarda.
Una volta che il Professore entra nell'aula, prende posto sulla sua comoda sedia (rivestita in pelle umana e munita di 4 efficienti rotelle, le cui utilità sono ancora al vaglio degli esperti) e compie tutti quei rituali che hanno reso famosa la figura del docente nel mondo, lo studente è pronto: con solerzia e smaniosa voglia di apprendere estrae dalla cartella la sua copia del Quadernone e la penna, e si dispone nella rilassante posizione "a gambe incrociate", sicuro che, così, nelle prossime due ore non avvertirà minimamente stanchezza alcuna.
Infatti, passato il quarto d'ora, il ginocchio sinistro comincia a dolere mentre la scarpa destra si è inevitabilmente fusa alla tibia opposta. Il giovine cerca, allora, di rimediare intonando un mantra, evitando di farsi udire dagli altri colleghi (comunque troppo impegnati a ciarlare del più e del meno per accorgersene). Attenzione, però, la stessa posizione "a gambe incrociate" è stata creata dai monaci tibetani, per cui, se pronunciate con troppa veemenza "Om mani padme um", rischiate di elevarvi in aria suscitando lo stupore generale (per almeno qualche secondo, dopo di chè tornerà ciascuno alla propria occupazione).
Conscio del rischio che correrebbe, il ragazzo prova a cambiare posizione. Il galateo prevede di spostare prima la gamba sinistra (per le virtù femminili del lato mancino che risalgono al Femminino Sacro, ma consultate Il codice da Vinci per saperne di più); ciò, però, non è possibile, in quanto il compagno al vostro fianco vi ha gentilmente privato dello spazio necessario sdraiando i propri arti inferiori; inutile dire che anche il lato destro è inutilizzabile, stavolta per la presenza della valigia (sic) di un altra compagna, o dell'immenso, quanto inutile, impianto stereofonico, se vi trovate vicino alla cattedra.
Arrivato a questo punto, al povero studente (che, nel frattempo, non ha assolutamente ascoltato una parola del Professore, perdendosi, così, importantissimi passi riportati pari pari dal libro, infarciti da gustosi aneddoti sulle insospettabili arti amatorie di Pipino il Breve) non resta che lanciarsi in ardite torsioni che susciterebbero l'invidia del miglior Houdinì.
Piegando la caviglia destra a 90° gradi riesce ad attutire il dolore alla rotula, ma provoca lesione permanente al malleolo; alza, allora, l'intera gamba assaporando, vittorioso, il rilassamento dei vari muscoli, ma la gioia è effimera: il tizio davanti reclama spazio per la gobba.
Il poveretto non ce la fa più, comincia a sudare freddo, e decide per la Soluzione Finale. Il Rannicchiamento.
Dispone le gambe in parallelo, a formare, ognuna, un triangolo isoscele avente come base il pavimento e come vertice alto il ginocchio, e vi si appoggia, sconsolato.
Comincia a guardare l'orologio, ma il tempo è impietoso e lo avverte che manca un'altra mezz'ora, durante la quale, non solo il ragazzo non scriverà più nessun'appunto (solo poi si accorgerà di non aver scritto nemmeno prima, quando, in treno, ripenserà alla futilità della giornata trascorsa) e non penserà a nulla, ma comincerà ad osservare gli altri studenti, quelli nella sua medesima condizione: ragazzi seduti uno sopra l'altro, gente impiccata alla cordicella delle veneziane e scheletri ricurvi con la penna in mano; e allora si accorgerà di non essere, per usare un eufemismo, "quello messo peggio".
Un sorriso brillerà sul suo volto, di colpo le parole dell'insegnante ricominceranno a rientrare per i suoi canali uditivi e la mano ricomincerà a scarabocchiare l'illibato quaderno. E la felicità riempirà di nuovo il suo cuore.

"Bene, ragazzi, per oggi è tutto. A domani".

Uno sparo riecheggia nell'aria.

(2007)



Nota dell'Autore: per ogni regola, è noto, ci vuole un'eccezione che la confermi. Ebbene, mi ero ripromesso di non apportare modifiche ai pezzi, ma in questo caso ho preferito apportarne una lieve alla frase finale. Nell'originale essa recitava: "Domani? AAAAAARRRGGHHHHH!!!!". Ritengo che quella nuova abbia una maggiore carica di ambiguità e suggestione, pur senza perdere pressoché nulla in termini di umorismo. Sono forme diverse di umorismo, la prima più britannica, la seconda più italiana (ma derivante, forse, da oltreoceano: interessante sarebbe una riflessione sul ruolo delle sfumature dell'inglese nel comico), entrambe apprezzabili e, cosa non da poco, intercambiabili: il senso dell'articolo rimane lo stesso. Ad ogni modo, non sta a me giudicare.

mercoledì 4 agosto 2010

Alt! Parola in ordine!

Ogni tanto fa bene svuotare la mente. Nella mia le finestre sono chiuse da parecchio tempo, le apro così i grumi di polvere vanno via un po'. Attenti agli sternuti.

Primo pensierino. Stamattina, cosa che mi capita tutte le mattine, mi stavo lavando i denti, quando, ad un certo punto, cosa che mi capita sempre quando mi lavo i denti, lo spazzolino mi è sfuggito di mano, e la parte dura è andata a sbattere contro un dente. Al ché, cosa che mi capita ogni volta che lo spazzolino mi sfugge di mano e va a sbattermi su un dente, ho proferito delle parole irripetibili. Cosa che mi capita ogni volta che proferisco parole irripetibili (non semplici parolacce, ma cose davvero irripetibili), mi sono vergognato di me stesso e sono partito per la tangente con assurdi collegamenti mentali. Il primo: ci sono tante persone, anche fra quelle che conosco, che inseriscono una parolaccia ogni tre vocaboli "sani", senza nessun moto di vergogna o imbarazzo che sia, e a cui nessuno rimprovera nulla. Quando lo faccio io, di solito, o vengo squadrato con occhio indagatore, oppure non vengo squadrato ma, d'improvviso, sugli interlocutori cala un velo di striminzito pudore e si cambia discorso, o, infine, la mia parolaccia suscita le risa dell'uditorio. Sarà che sono teatrale di natura (ma con umiltà), sarà che spesso utilizzo termini assurdi pur di non imprecare, e quindi quando impreco non sembro più io; chi lo sa. Fatto sta che la parolaccia, come diceva Gigi Proietti, è un'arte. Lui ci ha costruito un intero spettacolo sull'arte della parolaccia, arrivando più o meno a queste conclusioni: dev'essere spontanea (e le mie lo sono, in quanto tendenzialmente mi scappano quando sono irritato o irretito), dev'essere adatta al contesto (ci sono parolacce più eleganti e altre più burine), e magari dev'essere regionalizzata: caratteristica, comunque, che ricade nel discorso sul contesto di cui sopra.

Secondo pensierino. La seconda riflessione sortami mentre, ipocondricamente, controllavo se il dente colpito ballasse o no (ipocondricamente pare di sì, realisticamente non credo) riguarda la sfera politica: quando certe intercettazioni vengono pubblicate e diffuse alla massa, spesso ci si scandalizza per il linguaggio usato da uomini politici, d'affari e quant'altri nelle loro conversazioni. Si parla di "degrado morale", di "squallore", e a ben donde, forse, ma ci si dimentica che sono ben poche le persone che non si esprimono in modo rude, sgrammaticato, "volgare" (fra virgolette, per il discorso fatto prima). Meglio uno che dice due parolacce a frase ma è onesto, che un disonesto dotato di forbita eloquenza.
Ad ogni modo, questo discorso mal si applica alla classe dirigenziale italiana, ove è ben difficile trovare individui moralmente retti. D'altro canto, la classe dirigenziale italiana è senza dubbio la più bizzarra fra quelle democratiche europee (in Europa, per convenzione, c'é un Paese considerato non democratico, con cui, ovviamente, noi abbiamo buoni rapporti).
Si pensi alla nuova formazione partitica venutasi a creare con lo strappo dei "finiani". PdL, Lega, FLI (i "finiani"), UdC, Pd, IdV (+ SvP, uno o due valdostani e un paio di indipendenti).
Con le dovute modifiche, negli atteggiamenti essa ricalca la vecchia formazione partitica, quella che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere soppiantata dalle nuove forze. Nell'ordine: PSI craxiano, MSI, PLI, DC, PSDI, PCI intransigente (+ formazioni minori).
Insomma, nulla di nuovo sotto il sole. Il "degrado morale" e lo "squallore", forse, andrebbero ricercati nella sostanza, più che nella forma.

Terzo pensierino. Detta l'ovvietà, passiamo all'imprevedibile. Ho preso dei libri in biblioteca. (Mascelle sbigottite cadono a terra fragorosamente). Dove sta l'imprevedibilità? Nel fatto che, per una volta, i libri sono stati presi per puro piacere e non per dovere. Non prendo mai i libri che so interessarmi in biblioteca, perché i libri che so interessarmi li voglio possedere, per farci quello che mi pare, per cui, alla scadenza del prestito, mi viene immancabilmente voglia di commettere un furto. Del resto, si sa che per i bibliofili è difficile resistere alla brama di possedere un libro di proprietà altrui, non mancano aneddoti curiosi in merito. Mah, si vedrà tra un mese, quando dovrò restituirli. Sono libri che non riesco a trovare in vendita: se riuscirò ad escogitare qualche piano alla Lupin III bene, altrimenti pazienza, magari mi consolerò con lo scanner.

Per oggi basta. Con queste ardite considerazioni dimostro una volta di più di essere più mefistofelico di quanto pensassi. Ecco il perché di tutte quelle riflessioni sul "degrado" e lo "squallore": mi ci identifico. E che cazzo, Freud.