lunedì 29 novembre 2010

Angelo Branduardi nel XXI° secolo: una sfida alla disuguaglianza sociale. (Un intervento di Giulio Tremonti)



Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò
E venne il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò
Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo
che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto,
che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne l'acqua che spense il fuoco che bruciò il bastone che picchiò il cane
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il toro, che bevve l'acqua, che spense il fuoco,
che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E venne il macellaio, che uccise il toro, che bevve l'acqua,
che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E l'angelo della morte, sul macellaio, che uccise il toro, che bevve l'acqua,
che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane,
che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E infine il Signore, sull'angelo della morte, sul macellaio,
che uccise il toro, che bevve l'acqua, che spense il fuoco,
che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto,
che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò.

Alla fiera dell'est, per due soldi, un topolino mio padre comprò



Una sorpresa per tutti i lettori di questo blog: il Ministro dell'Economia Giulio Tremonti ci spiega il capolavoro di Angelo Branduardi "La fiera dell'est".

(testo non rivisto dall'autore)


Cari amici, cari colleghi, l'economia è un bene che riguarda tutti, e anche se non è un bene fisico, è come se lo fosse, altrimenti non mi torna la frase, e quindi siamo tutti colleghi. Qui parliamo di musica, ma siamo tutti colleghi, credo. Io credo che in tempi di insicurezza, non solo monetaria, come questi, insicurezza che accomuna tutte le categorie sociali, siamo tutti colleghi, infatti, credo che non sia opportuno cercare lo scontro quando non ve ne è bisogno, e si spera che non ve ne sia mai bisogno. Dicevamo: il sostrato economico della musica, la musica come economia. Diceva Pitagora La musica regola l'armonia dell'universo, io dico E' vero, ma anche che noi che ci occupiamo di flussi di scambio e debiti pubblici e privati, cerchiamo, e spesso, e non credo di commettere eresie nel dirlo, spesso ci riusciamo, cerchiamo nel nostro piccolo di portare equilibrio, cioé armonia, sul nostro pianeta, nelle dovute proporzioni, nell'universo. Cercherò di spiegarmi con parole semplici, che quando parlo e mi riascolto, poi non capisco molto quello che dico, e le mie parole sono dettate dall'esperienza di chi ha provato e riprovato, e quindi di chi sa e può dire di sapere. La conoscenza deriva dall'esperienza, non è un male ripeterlo.
Prima di passare allo specifico, al tema di Branduardi, una concessione che ci riporta all'infanzia, e al tempo stesso, ci riporta all'infanzia, e al futuro, in termini di previsione degli eventi che accadranno, o che potrebbero accadere ma forse non accadranno mai. Siamo noi economisti, per usare una brutta parola di facile comprensione, come gli extraterrestri di "Incontri ravvicinati dal terzo tipo", film di Spielberg del'77, che per comunicare con l'uomo, con gli americani di Carter, democratici, usavano la musica come linguaggio universale. Qui non ci interessa il messaggio politico, sugli eventi dell'Iran che di lì a poco sarebbero sfociati in una paralisi di cui ancora oggi avvertiamo gli effetti. Ci interessa questo discorso sulla musica come matrice universale, in grado di accomunare creature così diverse come l'uomo e gli alieni. Allo stesso modo, chi prova ad interpetrare le regole monetarie ed economiche, spesso molto diverse da Paese a Paese, non fa altro che cercare una matrice comune che permetta ai lavoratori dipendenti, agli autonomi, agli operai, di coesistere e cooperare per il bene comune, da cui ognuno trarrà i propri frutti. Poi magari questo non accade, è vero, ma tentare è sempre meglio che rimanere inerti e che le cose scivolino da sé. L'importante non è vincere, ma partecipare.
La fiera dell'est. Ringrazio chi mi ha dato l'opportunità di parlare di questa canzone, canzone molto bella e soprattutto molto orecchiabile, con questa sua ripetitività dal sapore quasi martellante. Si tratta di, gli inglesi dicono martellance, noi possiamo dire martellanza, di una martellanza dal sapore che non si può non definire armoniosa. Si può non definirla armoniosa, certo, ma bisognerebbe dimostrarlo, e a me preme sottolineare il contrario. E' una canzone armoniosa perché c'ha dentro di sé forti connotati mistici o religiosi, vedi l'angelo o il Signore, è vero, ma è una canzone molto semplice, che è facile da memorizzare. La riprova è che il curatore del blog ove questo intervento sarà pubblicato, se la ricorda tutta. Ed è una persona di solito molto sbadata.
Il tema della canzone. Tema molto semplice, ma che vedremo nascondere significati molto complessi, su cui da tempo gli esperti di tutto il mondo stanno lavorando. Anche il Governo della Repubblica vi ha investito tempo e denaro, se nessuno lo sapeva è perché all'epoca non ritenevamo utile pubblicizzarlo ai cittadini, visti anche i risultati ancora incerti. Tema molto semplice, lo ripetiamo perché ci sarà utile in seguito: c'é un topo che viene mangiato dal gatto, che viene morso dal cane, che viene picchiato dal pastore, che viene bruciato, il fuoco viene spento dall'acqua che viene bevuta dal toro, il toro viene macellato e il macellaio ucciso dall'angelo della morte. L'angelo della morte viene punito dal Signore, non viene detto quale, ma è facilmente intuibile. Cos'hanno in comune tutte queste, tutti questi fatti esecrabili, poco piacevoli? Perché ognuno di questi episodi si conclude con la peggiore delle punizioni, la morte? Tutto parte con un padre, il padre di Branduardi, il padre di tutti i cittadini, il padre che va al mercato a comprare un topo, e lo compra per due soldi. Un gesto probabilmente azzardato, visto che poi muoiono tutti; come è stato possibile tutto questo? Al mondo accadono quotidianamente tante cose strane, bizzarre, del resto se le cose fossero sempre normali non avremmo avuto due guerre mondiali, forse ci annoieremmo anche un pochino. Il nodo della questione è: il topo costava troppo poco. La svalutazione economica porta, oltre ad influire pesantemente sui mercati internazionali, porta alla svalutazione sociale. Un topo costa solo due soldi, ma chi lo decide? Lo decide il mercato? Sì, il mercato come luogo fisico, la fiera dove va il padre di Branduardi. Io dico: tu costi due soldi, tu ti offendi, Perché due soldi e non tre, chi lo decide? Allo stesso modo, il topo può sentirsi svalutato della sua condizione.
Il topo è un essere vivente, come me, come voi, come chiunque respiri ossigeno e rilasci anidride carbonica. L'essere vivente, se si sente svalutato, si deprime. Chi si deprime, lo descrive molto bene Duilio Lamprota nel suo libro "Il depresso come avarìa del motore del progresso sociale", che mi permetto di consigliare a tutti, di leggerlo, dice molto bene questa cosa, cioé che chi si sente svalutato, depresso, è compensato da qualcuno che svaluta, che fa deprimere. Chi si occupa di queste faccende è concorde nel dire una cosa, che l'animalità, se presa in piccole dosi, fa muovere il mercato dell'economia, ma troppa ferinità non va bene. Ci vantiamo dei progressi fatti nei secoli in tema di autocontrollo, continuiamo a vantarcene.
Secondo punto, l'influenza sui mercati internazionali. Quindi tutti muoiono perché il topo si sente svalutato come essere vivente, verrebbe da dire 'umano', muoiono perché si sentono svalutati e sono più sensibili alla ferinità altrui, e al Signore non piace la ferinità, altro aspetto da sottolineare. E poi c'é l'altra svalutazione, quella monetaria, che influenza i mercati europei, e non solo europei. Anche Stati Uniti e Cina sono interessati a questo ragionamento, ma non solo Stati Uniti e Cina, anche la Russia e l'India non sono indifferenti. E questo spiega perché la Fiera di Branduardi è dell'est. Ma torniamo al punto. E' un'importante passo avanti che stiamo portando, con il Governo, con la Confindustria, con i sindacati, un progetto in comune con i colleghi turcomanni, questo progetto che abbiamo chiamato Dottrina del Topo, come omaggio alla canzone di Branduardi oggi in esame. Non mi dilungherò nello specifico, altrimenti quando mi riascolto non mi capisco, dirò soltanto che ruota intorno a tre parole chiave: topo, finanza autogestita, solidarietà sociale.
Topo. Il bene di prima necessità non deve sentirsi svalutato, altrimenti cade in depressione e l'economia si irrigidisce su sé stessa, provocando disparità.
Finanza autogestita. Per effetto di ciò, chi acquista il bene di prima necessità dà maggior valore monetario al bene di prima necessità che acquista, sia esso un topo, un tozzo di pane o un decoder DTVI, in pratica dà un surplus, sulla cui percentuale stiamo ancora discutendo con i sindacati; essi stanno pensando di tenere un referendum interno fra gli iscritti per decidere fra il 15 e il 20 % del prezzo, percentuale che peraltro non intaccherà l'Iva per i venditori, quindi nessuna disparità sociale.
Terzo punto, terza parola chiave, solidarietà sociale: i consumatori, onde evitare di pagare più di quel che sono in grado di pagare, saranno portati ad una maggiore solidarietà fra l'uno e l'altro consumatore. Di questo modo i consumi dimunuiranno di numero - e questo ci farà utilizzare meno risorse, con meno sprechi - ma il denaro continuerà a circolare come prima, grazie a quella percentuale che la Dottrina del Topo prevede.
Per concludere, è probabilmente questo il messaggio a cui Branduardi teneva di più quando ha scritto la canzone, e cioé non comprare le cose per consumare e basta, comprale per un motivo, perché sennò le sminuisci, queste si deprimono e poi muoiono tutti. In parole povere, Branduardi ci descrive l'armonia che sta alla base della solidarietà sociale, perlomeno per le categorie sociali più disagiate. Chi è sordo a questi problemi, si limita ad ascoltare la musica. Grazie
(applausi)

giovedì 18 novembre 2010

Ad un'altra vita, fratello!

Su Libero si scoprono sempre cose nuove e bizzarre. Ma anche l'altro Libero non è da meno. Ad esempio, di recente vi ho letto di una ricerca, secondo la quale essere figli unici è bello.
Considerando che io sono figlio unico e ho tendenze masochistico-suicide (ad esempio, leggo quello che scrive Libero), direi che non sono molto d'accordo.

L'articolo recita:


Fino ad ora si credeva che nel bilancio dei pro e contro fossero i figli unici, più timidi e introversi, a essere svantaggiati ma una ricerca è giunta a concludere esattamente l'opposto: il livello di felicità scende in proporzione al numero di fratelli e sorelle. La tesi è stata elaborata grazie a un'indagine condotta dall'agenzia governativa britannica Economic and Social Research Council su 100mila persone (di cui 40mila famiglie) e anticipato sulle pagine dell'Observer.

Partendo da alcuni dati preliminari (7 teenager su dieci sono molto soddisfatti delle loro vite, quelli appartenenti a minoranze sono più soddisfatti degli altri, più fratelli e sorelle si hanno meno si è felici, per l'appunto) a 2500 giovani sono stati forniti questionari più approfonditi, poi analizzati dall'Institute for Social and Economic Research dell'università dell'Essex. Il 54% ha subito del bullismo da parte di fratelli e sorelle più grandi, il 30% è stato apostrofato con brutti nomi o trattato male, il 17,6% ha sofferto per i propri giochi, portati via o rotti dagli altri.

Aldilà del fatto che non si capisce bene perché i dati preliminari siano preliminari, io smentisco i risultati propagandati.
Ad esempio, ho subito (una specie di) bullismo, ai bei vecchi tempi, eppure non ho fratelli e sorelle. Mia madre mi reputa (tutt'ora, intendo), di volta in volta, una "testa di CENSURA", un "deficiente", un "imbranato" (eppure non sono veneto), mio padre un "fallito". Tutte cose vere, per carità, ma non sono fratelli o sorelle a dirmele. Quanto ai giochi, beh, da piccolo amavo moltissimo un camion dei pompieri (non chiedetemi perché), fin quando mio padre lo scaraventò nel giardino di una villetta (di altrui proprietà) causa stizza. Da allora smisi di amarlo, anche perché non abbiamo mai fatto fruttare l'usucapione.

Ma andiamo avanti:


Anche lo spazio in casa da dividere, l'attenzione dei genitori, le preferenze mostrate magari da questi ultimi hanno poi avuto un ruolo determinante. «Non avrei ma potuto fare l'attrice se non fossi stata figlia unica» ha detto una volta Natalie Portman, intervistata su Rolling Stone, «perché i miei genitori non mi avrebbero lasciato diventare una celebrità a dispetto di un altro figlio». Alcuni studi condotti in passato hanno sottolineato poi come i figli unici siano in realtà più estroversi e portati a socializzare con gli altri anche se pure non esserlo ha i suoi lati positivi: nei momenti di difficoltà si può contare sul sostegno reciproco, ha fatto notare a proposito dello studio Dieter Wolke, docente di psicologia dell'Infanzia all'università di Warwick. Non solo, si impara prima, grazie al confronto, a risovere i conflitti, si capisce che anche gli altri hanno un proprio spazio e che l'universo non ruota intorno a se stessi.

Natalie Portman, tu sei donna, per cui ogni porta ti sarebbe stata potenzialmente aperta lo stesso. Curiosamente, mia madre vorrebbe che sfondassi nel mondo delle pubblicità: non tanto per me, quanto per gli introiti che, a suo dire, ne ricaverei; a mio dire non ne ricaverei, invece, benché, da quando un mio professore delle superiori è divenuto noto in tutto l'hinterland interpretando un famoso spot, l'impossibile non appare più così impossibile.
Mi si perdoni la divagazione, ma avere fratelli/sorelle è una fortuna incredibile, dipende da come la si sfrutta: chiaro che se ci si mette in competizione (o ci si fa mettere in competizione) si vivrà male il rapporto, ma questo vale per ogni tipologia di rapporto. Ora come ora io non potrei mai avere una sorella o un fratello, perché sono egocentrico e già tollero molto poco chi mi paga vitto e alloggio (ma quando arrivavano i cugini li riempivano di regali, e a me compravano "Topolino" affinché non reclamassi), tollero ancora meno chi mi tocca le cose, e, sebbene rispetti l'altrui spazio, inconsciamente penso che il mio debba essere superiore. Se avessi un fratello/sorella, però, fra vent'anni saprei su chi contare.


Ne discutono non solo gli altri studi condotti finora ma anche nei forum dove gli aspiranti genitori si confrontano e si dividono: "non fate figli unici", "siamo entrambi figli unici e siamo stati benissimo, stiamo pensando di avere un figlio unico". In Italia il 42,3% delle coppie ha due figli, il 10,8% tre o più e il 46,8% un figlio (ovviamente non sempre per libera scelta) e ai genitori di entrambi i fronti si rivolgono i consigli degli esperti: ai primi di non ritagliarsi semplicemente il ruolo di arbitri nelle discussioni, ai secondi di non investire il figlio dei propri sogni o di caricarlo di aspettive.

Ma infatti, si fanno i figli se si vuole farli, altrimenti si lasci perdere. Anche perché, se lo si fa, lo si mantiene, e non lo si sbologna via quando ci si stufa, perché poi quello vi si ritorce contro. Bisogna, inoltre, tener conto della sovrappopolazione, forse il Male peggiore che appesta il globo terracqueo, perché è inutile fare sette figli quando non si ha una lira, e poi li si lascia rotolare nel fango, come è d'uso in certi Paesi. Ma nemmeno come in Cina, dove se fai più di un figlio la paghi cara (epperò sono tantissimi lo stesso, e si comportano come automi, e grazie tante: son figli unici, se ad ognuno di loro buttano via il camion dei pompieri, ci credo che da grandi vogliono lasciare le loro famiglie per conquistare l'economia globale).

Dunque, una ricetta sana e genuina può essere la seguente:
1)fare all'amore un sacco di volte, non solo per fare figli: così ci si accorge che è bello, mentre se fai un figlio magari ti passa la voglia o non hai tempo, e non vuoi che questo accada.
2)pensarci bene e rifletterci molto, prima di agire.
3)agire con cautela, agitare prima dell'uso.
4)se ci si può permettere di farne più d'uno, farne almeno due. Non più di due, attenzione, per la storia della sovrappopolazione di cui sopra. Se non ci si può permettere di farne più d'uno, evidentemente ci si può permettere a malapena di farne uno, con tutte le conseguenze che quel poveretto dovrà subire. Nel dubbio, astenersi.
5)Una volta fatti i due (o l'uno, se proprio siete testardi), trattarli alla pari, viziando entrambi con quello che vogliono (e solo con quello che vogliono: non istigateli ad altro). Insegnare loro i fondamenti della vita civile: rispetto, uguaglianza, amore per l'arte e la natura.
6)Insegnate quanto prima i fondamenti della sessualità (senza essere volgari), così che in futuro non saranno costantemente imbarazzati (ma nemmeno troppo disinibiti).
7)Non gettate via i loro camion dei pompieri, il trauma li segnerebbe per sempre.
8)Fateli leggere molto: libri e riviste serie. E, soprattutto, tanti tanti fumetti di qualità, che insegnano molto più che le scuole (è triste, ma è così). Se non sapete quali scegliere, rivolgersi al sottoscritto (che, finalmente, avrebbe un lavoro).
9)Rispettare le loro emancipazioni future, pur mantenendoli ed amandoli sempre, senza sminuirli se falliscono in qualcosa.

Seguendo queste semplici regole, eviterete ai vostri figli un futuro simile al mio, e, di riflesso, il moltiplicarsi di post simili a questo. Grazie.

domenica 14 novembre 2010

The noia minute

Ultimamente non ho molta voglia di scrivere, l'autostima è scesa a prendere le sigarette e non è più tornata, la vita prosegue come sempre, cioé stando ferma a Gennaio, sicché non sapevo esattamente come riempire questo post.
E cosa fa un blogger che non sa come riempire un post? Segue la moda dei blogger più affermati: controlla le statistiche del blog.

Nel suo piccolo (minuscolo), il mio diario non molto personale ha sì pochissime visite, ma costanti: qualcuno capita qui quasi ogni giorno.
Toh, un sms dall'autostima: si scusa per non essersi fatta più sentire. Dice che non sa quando tornerà, e che se voglio mangiare qualcosa c'é il filetto Simmenthal in frigo. E grazie tante, stimy, lo evito apposta, c'é tanto di quell'aceto, con quel filetto, che ti ci fai il bagno.

Ma torniamo a noi (chi?). Con poche visite, sono giocoforza poche anche le chiavi di ricerca inserite sui motori (di ricerca) che hanno condotto qui i visitatori (ricercatori). Però qualche considerazione interessante si possono fare lo stesso.
Ad esempio, nell'ultimo mese ben due researchers, o forse lo stesso, ha digitato su gùgol Il bidone e l'hard disk, nome "ufficiale" di questo spazio (sprecato). Questo significa che al mondo esistono persone interessate a visitare questo blog. Capirete che la notizia è sconcertante.
C'é poi un tizio che ricercava notizie sugli attori tamarri, oggetto di un noto post, un tempo ospitato anche su siti specializzati, poi pentitisi.
Qualcuno ha poi cercato tecniche di narrazione ed è finito qui: beh, almeno avrà imparato quelle da evitare.
Uno svogliato studente sperava che avessi scritto i viaggi di guliver riassunti in 20 righe. Magari togliendo le dopie qualcosa di potrebe fare, vedremo.
Non ha trovato pane per i suoi denti nemmeno chi ricercava daddy yankee descrizione fisica, ma lo accontenterò ora: è di colore, con due occhi, un naso, una bocca, due orecchie. E' una via di mezzo fra Obama e Marracash, con i capelli corti tipici dei cantanti made in Usa, l'orecchino tipico, gli occhiali da sole tipici, la maglietta tipica, i pantaloni della tuta tipica...insomma, è un prodotto tipico, di media corporatura e medie doti intellettive. (Si potrebbe dedurre che sia un perfetto esempio di mediocritas, ma, dato che viviamo nell'era della mediocritas, ecco che diventa autoritas). Poi, se cercavi informazioni più intime...francamente non ne ho, né sono così interessato ad averne.

Nell'ultima settimana, un deluso ulivista, ha digitato "ken parker" sinistra. Sempre con questa storia del cercare un leader carismatico: non serve! Abbiamo Bersani: ok, sarà più "cannuccia corta" che "lungo fucile", ma per ora va bene così.
Non sapevo che Pep Guardiola si fosse sposato. Ringrazio l'autore di matrimonio Pep Guardiola per l'informazione; lui cercava e io trovo: l'interscambio è sempre cosa buona. Ah, felicitazioni al mister catalano.
concessione vocalizzatore nei pazienti con sla: non saprei, io sono un po' gobbo, ma le mie malattie sono altre. Chiedete a Stephen Hawking, di sicuro ne saprà di più.
cosa mangiano i piccioni: questa la so! Turisti giapponesi.

Ed ecco ora le uniche ricerche andate a buon fine:


essere cretini
che cretino
essere cretino
essere stupidi
essere cretini
essere cretino
cretino che


Sicuramente non sarete rimasti delusi. Mi raccomando, tornate presto!

martedì 2 novembre 2010

C'est la mort.


Primo pensierino. Nel mese di Ottobre non ho scritto molto, anzi, è stato toccato il record negativo del blog (se escludiamo dal conteggio lo scorso mese di Aprile, tecnicamente "non pervenuto"). Questo perché ultimamente non sono stato proprio benissimo. Ad ogni modo, è un po' come se il blog fosse "morto", e, visto che oggi è il 2 Novembre, la coincidenza sembra calzare a pennuello (o a fagiuolo, se preferite).
Mia personalissima ed opinabile opinione è che, se proprio festa dev'esserci, questa dovrebbe cadere il 2 Novembre, anziché il giorno precedente. I Santi sono riconosciuti solo da una parte della popolazione, i morti da tutti. Logica vorrebbe che il volgo lo si accontentasse tutto, e non solo una parte di esso, ma la Logica, in Italia, viene ricordata proprio oggi.

Che poi la festa dei morti sia una festa ipocrita, come tutte le feste legate alla religione, questo è un altro discorso. Durante i rimanenti 364 giorni dell'anno, infatti, nessuno si ricorda dei cari estinti. Il 2 Novembre, d'improvviso, tutti "col ricordo volto verso chi non c'é più" (come dicono i preti). Perlomento per finta, chiaro.
Per tacer dell'egoismo intrinseco: perché ricordare solo i propri cari defunti? E quelli degli altri? Non contano niente? Dov'é finito l'amore verso il prossimo, la fratellanza che tanto cianciano le religioni rivelate?
Mi pare giusto e solidale ricordare quei defunti che non sono mai ricordati da nessuno. Tertulliano, ad esempio. Oppure Leibniz. O, ancora, Mario Imperniceti, Donatella Angiolini, Tonino Brutti... chi sono? Boh. Ma anche loro meritano il nostro ricordo.

Secondo pensierino. Un anno fa moriva Alda Merini. Ce lo siamo ricordati perché è uscita la raccolta delle sue opere, sennò chi ci pensava più? È dal 3 Novembre dell'anno scorso che avevamo la mente altrove.
Io l'avevo rivolta verso Michelangelo Antonioni, regista di cui non ho visto nemanco un fotogramma (no, vabbé, un paio di fotogrammi li ho visti). Nell'Agosto 2007 si spegneva lasciando un grande vuoto intorno a sé. Talmente grande che RaiDue, la sera stessa della sua morte, si sentì in dovere di cancellare un telefilm che all'epoca seguivo, per trasmettere ben due dei suoi capolavori (e la Rai, e i canali in chiaro in genere, sono ben restii a trasmettere i film di Antonioni, forse perché il pubblico "non capirebbe"). Da quel giorno sento il bisogno di ricordare costantemente questo episodio, affinché il grande regista sia sempre un po' nei nostri cuori.

Terzo pensierino. Negli ultimi dieci anni circa, la mia famiglia si è pressoché dimezzata, con una media di un lutto "importante" ogni 2,5 anni (a fronte di una nascita ogni 4,5). L'aver scritto una frase del genere (che è assolutamente vera) mi dà l'impressione di essere divenuto un po' cinico. Forse perché io stesso non sono convinto di arrivare ai quarant'anni, oppure di arrivarci a fatica e grossomodo. D'altronde, quelle fitte al petto che sento ogni tanto non mi incitano proprio all'ottimismo, e i lutti di cui parlavo sopra sono stati tutti prematuri.

La Logica mi porta a pensar male. Per fortuna, come dicevo più in alto, in Italia la Logica si festeggia proprio oggi. C'est la mort.

giovedì 28 ottobre 2010

Arriva (il) Trip! (pseudocit.)

Solo per voi, una rara poesia scritta con le prime parole che mi vengono in mente.

Fosforo.
BOOM!
Bunga bunga.
Risate fallaci,
mestruo,
rimbalzano
such as
pomodori verdi fritti
nel lago di Camaiore
o nel mare,
dipende.

Alla fermata del bas
(pron. "bus")
s'attende, fatua,
la Venuta del
[frammento illeggibile]
e pure del
[ibid.]
ma anche del
[calligrafia incerta]
Sembra, e dico "sembra",
che dovesse venire anche
[fonte inattendibile]
ma, all'ultimo, c'ha avuto i suoi.
Al suo posto
[CENSURED]

Metropolitana
circonvalla
che prieghi
me mesmo:
rivelazione mesmerica.
"Il mesmerismo è morto, signorina!"
tuona, piove.
Sicché, siccome
per cui, imperciocché
quandunque, imperocché vieppiù
ond'egli
ondeggia
on de rox
(pron. "on the rocks")
e - si sa - che le
[man. Parigi A: tet ta; Vienna: ar to di gran chio]
etiam bonus
homerus simpsonus
sonitat.

Pur'io.

martedì 12 ottobre 2010

Patemi



Il bello è che di questi 23 anni ne ho seguiti quasi 15.

mercoledì 29 settembre 2010

Tanti auguri al mio contesto! (in ritardo, com'é d'uopo)

E da ieri sono 23 anni. Sostanzialmente buttati via.

Il giorno del mio compleanno, da diversi anni a questa parte, si ripete sempre uguale, seguendo il medesimo copione. Nel complesso, è un compleanno noto perlopiù in quanto è quello che cade fra il giorno del compleanno di Totti (il 27) e il giorno del compleanno del nostro amato premier (il 29: non merita fiducia, ma in democrazia gli auguri sono doverosi). Nel complesso, gli auguri ricevuti si possono strutturare in due categorie: a)quelli dei parenti; b)quelli dei non parenti/amici.
La prima categoria prevede gli auguri di: padre, madre, uno zio e una zia (insieme), i rispettivi figli (due cugini), a volte un nonno. Memorabile, però, rimane l'annata 2008, in cui si ricordarono della nefasta giornata - e per puro caso! - solo mio padre e mia madre (e il giorno dopo tutti a profondarsi in scuse).

La seconda categoria è ripartibile, a sua volta, in due sottocategorie: b1)gli amici "veri"; b2)gli amici "virtuali".
Di Amici (con la A maiuscola) non ne ho da tempo immemorabile, ma generalmente uno degli amici "veri" - in carne ed ossa - si fa vivo. Statisticamente la grana viene sbrigata a rotazione: un anno mi fa gli auguri un amico, l'anno dopo non me li fa, però me li fa un'altra amica, l'anno seguente nemmeno lei me li fa più, ma si fa sentire un'altra ancora... e così via.
Gli amici "virtuali" seguono, vagamente, il medesimo schema. Io sono un utente di due forum da ormai quattro anni, e c'é una certa complicità con alcuni di quei "compagni di web". Però, il giorno del mio compleanno, mi fanno gli auguri solo gli utenti di uno dei due siti: quelli dell'altro, o non me li fanno, o se ne accorgono solo a compleanno finito. E non è sempre lo stesso forum a farmeli o non farmeli, si scambiano il ruolo. Dipende dalle circostanze, come ogni altro evento che accade su questo pianeta.

Come sono questi auguri? Quelli dei parenti prevedono l'utilizzo della parola "auguri", seguita dai normali 'botta e risposta' che si fanno durante le altre 364 giornate dell'anno solare. Quelli degli amici fanno gioco sulla gioventù (che ha a che fare con me solo dal punto di vista anagrafico), sulla splendida carriera che mi attende (che non mi attendo io), su quella effettiva e attuale (che non ho), sul divertimento insito nella giornata di festa (che non festeggio), sulla grande abbuffata a cui non posso sottrarmi (e questo è l'unico punto a cui effettivamente non mi sottraggo).

Per il resto, quali sono le peculiarità del giorno del mio compleanno? Beh, è l'anniversario del primo Boston Tea Party, dell'invasione dell'Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore, del Messico indipendente, di Toronto capitale, della bandiera Thailandese, dell'Indonesia nell'ONU, della quinta repubblica francese, della morte di Giovanni Paolo I, e, da ieri, della morte di Foppa Pedretti e della frana in Messico (un Paese a cui tengo molto, in quanto epicentro di ogni tragedia).
E' il giorno in cui compie gli anni Hilary Duff , e tengo molto a questo, in quanto, confrontando la vita di Hilary con la mia, mi rendo conto di come la mia sia inconfrontabile.

Ma è anche il giorno del compleanno (virtuale) di Achille Campanile, e ad un'amante dell'umorismo come il sottoscritto non può che far piacere.
Ma è anche il giorno del compleanno di Confucio, e ad un'amante delle massime filosofiche come il sottoscritto non può che far piacere.
Ma è anche il giorno del compleanno di Luana Borgia e di Dita Von Deese, e ad un'amante delle donne nude come il sottoscritto non può che far piacere.
Ma è anche il compleanno di Paolo Attivissimo, e ad un'amante della controinformazione come il sottoscritto non può che far piacere.
Ma è anche il compleanno di Mika Hakkinen, e ad un'amante di Mika Hakkinen - quando correva - come il sottoscritto - di alcuni anni fa - non può che far piacere.
Ma è anche il compleanno (virtuale) di Marcello Mastroianni, e ad un'amante degli attori eclettici come il sottoscritto non può che far piacere.
Ma è anche il compleanno (virtuale) di Alessandro Tassoni, e ad un'amante della scrittura e dell'epica eroicomica (nonché della cedrata Tassoni) come il sottoscritto non può che far piacere.

Ma è anche il giorno della morte di Bernardino da Feltre, ed un cultore del libero pensiero come il sottoscritto non può che leggerci un virtuale passaggio di consegne.
Ma è anche il giorno della morte di Hermann Melville, ed un cultore della natura e della selezione naturale come il sottoscritto non può che leggerci un virtuale passaggio di consegne.
Ma è anche il giorno della morte di Louis Pasteur, ed un cultore di birra e vini come il sottoscritto non può che leggerci un virtuale passaggio di consegne.
Ma è anche il giorno della morte di Giovanni Segantini, ed un aspirante apolide, nonché pittore di cose banali, come il sottoscritto non può che leggerci un virtuale passaggio di consegne.
Ma è anche il giorno della morte di William Dickson, ed un cultore dei primi film, nonché non troppo solidale con Edison, come il sottoscritto non può che leggerci un virtuale passaggio di consegne.
Ma è anche il giorno della morte di Edwin Hubble e di William Boeing, ed un'amante dello spazio e dell'infinito come il sottoscritto non può che leggerci un virtuale passaggio di consegne.
Ma è anche il giorno della morte di Harpo Marx e di André Breton, ed un surrealista come il sottoscritto non può che leggerci un virtuale passaggio di consegne.
Ma è anche il giorno della morte di Gamal Abd el-Nasser e di Pierre Trudeau, ed un rinnovatore della politica, ma che si comporta come i vecchi barbogi, come il sottoscritto non può che leggerci un virtuale passaggio di consegne.

Senza contare che nel settembre 1987 era in edicola il n.66, e di lì in uscita il n.67, di Martin Mystère, dedicato al mito di Agarthi, la città sotterranea abitata da saggi, che rappresenta il mio "mito preferito" fra quelli canonici (e che ispira parte del mio attuale stile di vita).

Coincidenze, o l'animo di ciascuno di noi è impresso al momento della nascita dal "contesto"?

venerdì 24 settembre 2010

La Bustina di Malerba. 9 : Come fare quella faccia un po' così, quell'espressione un po' così, che abbiamo noi che abbiamo visto Genova

COME FARE QUELLA FACCIA UN PO' COSÌ, QUELL'ESPRESSIONE UN PO' COSÌ, CHE ABBIAMO NOI CHE ABBIAMO VISTO GENOVA

Ciò che rende immediatamente riconoscibile un individuo ad un altro non è il cappello con le piume, la camicia color giallo canarino o lo status sociale. È la faccia. Il viso, solo lui stimola nella mente dell'incontrante il ricordo dell'incontrato (e viceversa). Chiunque può bighellonare per strada sfoggiando un cappello con le piume, ma, al più, le gente lo additerà e ne riderà sotto i baffi, senza conoscerne l'identità; possiamo renderci ridicoli con abiti particolari o essere rinomati in tutto il mondo per qualcosa (non necessariamente di valore) ma non tutti ci fermeranno e chiederanno l'autografo. Alzi la mano chi riconoscerebbe Gregory Peck se lo incontrasse in sulla via: i più vegliardi, forse, e qualche cinefilo d'essai, ma non molti altri.
L'importanza della faccia è precipua, dunque, e di essa, in fondo, se ne (pre)occupa ognuno di noi. Altrimenti, come spiegare tante polemiche sull'utilizzo o meno del burqa, che impegnano i cugini d'oltralpe (da buoni parenti specializzati come noi a perdere tempo con discussioni di dubbia praticità)? Come giustificare l'ossessiva ricerca della perfezione fisica, attraverso lifting, creme antirughe (come se il possedere rughe fosse sintomo di alzheimer)?

Possedere una faccia malleabile significa possedere l'intera gamma di emozioni permesse all'umanità. Con l'avvento del berlusconismo questo aspetto è purtroppo andato via via degenerando, sino alla formulazione dell'equazione faccia "gommosa" = finzione. Tant'é che, quando Jim Carrey si è dato al cinema "serio", parecchi suoi fan lo hanno rigettato (salvo poi ritornare sui propri passi dopo le recensioni positive lette su internet).
E allora, forse, è chi ha un volto granitico ad essere più sincero. Nicholas Cage viene puntualmente paragonato ad un posacenere, qualunque tipologia di film egli interpreti, eppure, pur essendo una Person delle meno chiacchierate, rimane lo stesso Very ed in qualche modo Important, almeno nel productdom hollywoodiano. Nicholas Cage, ovunque lo metti, ha sempre la stessa faccia. Eppure non risulta mai fuori posto, non rende la situazione meno verosimile di quanto non appaia già (si parla comunque di finzione scenica). Se Nicholas Cage piange, gli escono le lacrime e storce la bocca, aprendola un poco; se ride, apre la bocca storcendola e mostrando i dentoni, e socchiude gli occhi come se piangesse; se è corrucciato, socchiude gli occhi e storce lievemente la bocca; se è furibondo e vuole uccidere qualcuno, storce la bocca e spalanca gli occhi (e comunque sembra che li abbia socchiusi).

Ultimamente, seguendo un noto telefilm di sci-fi, mi sono innamorato di Mary McDonnell, un'attrice in attività da almeno venticinque anni, che ha girato dieci film in croce ed è stata nominata all'Oscar due volte (purtroppo non è stata famosa al punto da vincerlo). Ecco: nel corso del telefilm lei mantiene la medesima espressione, non si scompone mai. Piange, ride, s'infuria, si rilassa, si innamora, odia, riflette: in ogni caso socchiude gli occhi e storce la bocca, che sia in su o in giù.
E che dire di Robert De Niro, fresco di cinema italiano, e - in un certo qual modo - di Al Pacino? Entrambi hanno costruito la propria carriera su bocche storte e occhi socchiusi (certo, se Al Pacino interpreta un pazzo gli occhi li spalanca, ma è differenza trascurabile). Per tacer di Martin Mystère, che cammina con gli occhi praticamente chiusi ma attrae il sesso femminile come pochi.

Se ne deduce che il segreto è tutto lì: nell'occhio socchiuso e nella bocca storta. Il primo, per il classico 'vedononvedismo': ti mostro come sono realmente, ma non del tutto, il resto è fascino. La seconda, perché ortocentro del volto, matrice della movibilità della struttura epiteliale sovracollare.

La Maschera di Ferro lasciava scoperta solo occhi e bocca. Eppure celava Di Caprio. Il quale, infatti, si mostra più austero e compassato di un tempo, e ne ha guadagnato in stima e popolarità. Si vede che è stato a Genova.


(2010)

lunedì 20 settembre 2010

Nuovo Ulivo e Alleanza Democratica - parte terza. (una mia lettera a Walter Veltroni)

Ricordate la lettera di Bersani a Repubblica, un mese fa? E la mia risposta, due settimane fa?
È di oggi un'altra lettera, stavolta di Veltroni. Immediata la mia replica.
Avanti il prossimo!


Caro Direttore,

ho letto in un articolo del suo giornale che, secondo i soliti anonimi bene informati (sicuramente esistenti), in realtà il documento firmato da 75 parlamentari del Pd altro non sarebbe che un mio diabolico disegno per diventare il cosiddetto "Papa straniero" che il suo giornale ha indicato come possibilità per dare più forza al centrosinistra e del quale hanno parlato diversi dirigenti del Pd.

Io stesso vi ho fatto riferimento, a Repubblica tv, sostenendo, come Anna Finocchiaro, che non si debba escludere, in caso di elezioni anticipate, di scegliere, come fu nel '96, una persona della società civile che possa aggiungere apertura e consenso al centrosinistra. Tutto qui. Aggiungo che penso dovremmo smetterla tutti di parlare solo di nomi e di persone, tutte con le loro legittime aspirazioni, visto che Berlusconi è ancora lì e che il rischio peggiore per il paese è che ci resti, coltivando, con l'arroganza della debolezza, i suoi progetti di sfarinamento di una autentica vita democratica. Il primo obiettivo è, per tutti, farlo dimettere al più presto. Ma il secondo è costruire una credibile alleanza riformista, che cambi radicalmente questo paese malato. Questo è il senso del documento che nasce dalla preoccupazione - e dalla constatazione - che, all'auspicato tramonto del berlusconismo non corrisponda l'alba, come sarebbe naturale in tutti i paese europei, di un nuovo ciclo, questa volta davvero riformista. Un tempo inedito per l'Italia, in cui si possa spezzare la continuità gattopardesca della sua storia politica, e sfidare tutti i conservatorismi per introdurre innovazione , cultura delle opportunità e spirito di solidarietà in questo sfibrato paese.

Ma no, queste sono balle. Avremmo fatto tutto questo perché io vorrei essere il "Papa straniero". Chi spiffera queste fesserie applica agli altri il proprio modo di ragionare. Voglio essere chiaro. Sono oggi uno dei pochi dirigenti del Pd che non ha incarichi. Non li ho chiesti, non mi sono stati proposti. Ho solo domandato di andare, come semplice componente, nella commissione antimafia per fare un lavoro difficile, bello, esposto. E spero di aver dato insieme agli altri, in questi mesi, un certo contributo a far tornare il tema della legalità, legato anche alla indispensabile ricerca della verità sulle stragi e sui misteri italiani , in cima all'agenda del centrosinistra.

Ci sono già abbastanza candidati per primarie non fissate, in vista di elezioni non convocate. Io non sarò tra questi, anche per i motivi indicati con chiarezza da Eugenio Scalfari nel suo bell'editoriale di domenica. E credo che chi si riferisce al "papa straniero" come possibilità pensi ad una personalità proveniente dalla società civile. Io sono e resto un dirigente del Pd, partito che ho contribuito a fondare. Dunque smettiamola di parlare di nomi. In questo il centro destra è molto più resistente di noi. Perde elezioni, litiga, si divide. Ma chi sono i leaders di questo schieramento? Gli stessi del '94: Berlusconi, Fini, Bossi, e , nella sua nuova posizione, Casini. Noi, moderni Ugolino, ne abbiamo divorati a decine, a cominciare dalla sciagurata interruzione della più bella esperienza riformista Italiana, il primo governo Prodi. Per questo, io che non ho votato Bersani, lo riconosco come leader del mio partito e nel documento, solo ad avere la pazienza di leggerlo, non c'è una parola che metta in discussione la leadership o invochi congressi. C'era una frase che poteva apparire sgradevole, è stata tolta.

Dunque smettiamola di mettere in giro veleni inutili e abituiamoci all'idea che ci sia chi vuole solo discutere di una oggettiva difficoltà non dopo le elezioni, per sacrificare poi un altro agnello, ma prima. Perché se è vero che in questa fase il berlusconismo è in difficoltà, è anche vero che il Pd, in un momento che dovrebbe essere favorevole, è al 24%. Chiedersi perché è un dovere, per chi crede e ama il partito democratico. Enrico Letta dice che c'è turbamento per il documento. Io ho visto anche molto turbamento per le reazioni al documento. E comunque ne avevo percepito molto, di smarrimento, nel vedere i dirigenti del Partito proporre per tutta l'estate ogni tipo di alleanza, in una escalation figlia di incertezza. Il governo Tremonti, l'alleanza con Fini, che ha correttamente ribadito le sue origini in Almirante, Il rapporto preferenziale con Casini, che mi pare coltivi legittimamente altri progetti, una santa alleanza da tutti gli interlocutori esclusa. Io mi sono attestato sulla linea che avevamo deciso nell'unica riunione tenuta: se cade Berlusconi un governo di emergenza per affrontare crisi sociale e legge elettorale. Anche questa girandola di posizioni e il concentrarsi solo sulla tattica fa smarrire i nostri militanti e i nostri elettori. Perché mostra una sfiducia in un Pd grande, aperto, che possa essere il perno di una alleanza riformista.C'è un'altra osservazione che mi viene fatta. Quella secondo la quale i settantacinque parlamentari, molti di più dei venti previsti dai soliti spifferatori, avrebbero fatto un "regalo a Berlusconi" scrivendo il documento. Sono sincero. Questa equazione ha una matrice, non rassicurante, che giunge da troppo lontano.

Discutere non è dividersi, mai. Solo Berlusconi ha l'idea che un partito sia una caserma di sua proprietà. Noi no. Noi siamo e dobbiamo essere una grande macchina democratica. E dobbiamo trasformare i malumori in sereno confronto e poi in energia unitaria. Il regalo all'"avversario di classe" rischia di essere un Pd che non riesca a esprimere fino in fondo la carica di disagio e l'ansia di cambiamento. Non dieci cartelle cortesi e unitarie ma un problema che tutti dobbiamo affrontare insieme, collaborando con il segretario, che è segretario di tutti noi. E cercando di nuovo di aprirsi a quel "movimento" della società che fu "Il popolo delle primarie".Proviamo a sperimentare, è la mia risposta positiva all'invito di Letta che immagino impegni anche il gruppo dirigente, il modello più discussione, più unità. Mi chiedo, se il gruppo dirigente avesse reagito al documento dicendo "E' un contributo, discutiamone", se questo non sarebbe stato più utile a evitare una drammatizzazione e toni francamente inaccettabili. Mi si permetta solo di dire che nella mia esperienza di segretario del Pd ho fatto i conti, all'interno del partito, con cose più difficili di un corretto documento di parlamentari. Nacquero legittimamente associazioni politiche di deputati e senatori, con tanto di iscrizioni, televisioni, convegni pubblici su temi di attualità. E in piena campagna elettorale per la Sardegna, in uno scontro durissimo con Berlusconi, uscirono interviste e posizioni di dirigenti contro la linea e la leadership. Io non dissi che era un "regalo a Berlusconi" e anzi, dopo la sconfitta, mi dimisi caricandomi, può immaginare con quale dolore, tutte le responsabilità sulle mie spalle.

Discutiamo e stiamo uniti. E' questo il mio impegno. E la proposta di una iniziativa di tutti i dirigenti del Pd contro la ferita democratica della compravendita dei voti di Berlusconi va in questa direzione. Nella mia vita politica ho sempre cercato di unire. E non cambio.

Walter Veltroni

(20 settembre 2010)


La mia risposta:

Caro Walter Veltroni,

come già scrissi a Pierluigi Bersani, sono un potenziale elettore del tuo partito, che però non ti vota. Come già scrissi a Pierluigi Bersani, ti prego di perdonarmi se ti do del 'tu'. Ma, come già scrissi a Pierluigi Bersani, credo che voi politici svolgiate un ruolo di rappresentanza e che pertanto un certo attaccamento con la base elettorale che vi sostiene (sosteneva) sia fondamentale, se non addirittura d'uopo. E poi, caro Uolter, tu sei quello che due anni orsono girovagava per la Penisola (l'Italia, dico) col pullmann verde, spacciandosi per "giovane" e rinnovato figlio dei fiori, indi per cui se non dai del 'tu' tu stesso, chi lo deve dare, D'Alema?

Beh, caro Uolter, sarò franco: non è che io ti stimi più moltissimo. Sì, ok, quello che scrivi nella missiva è sacrosanto e hai il pieno diritto di scriverlo, però, 'nsomma, dai. Un po' di coerenza. A te piace fare l'Obama della situation, gli hai pure prefatto (prefazionato?) il libro, e questa è una cosa che tutti ti stimano. La stimo io, la stima Enrico Letta, la stima anche Pierluigi Bersani, in fondo. Te la stimava anche Berlusconi, due anni fa, quando continuavi a porgergli la pargoletta mano e quello te la restituiva piena di mozzichi fino al gomito. Ora: Obama lo può fare solo Obama, e lo può fare solo in America, perché gli yankee, saranno pure obesi, zoticoni, bigotti, anche razzistoidi, va', ma quando ci si mettono, ci si mettono: in Italia chi vuoi che ci si metta? E si metta a fare che? Che cosa vuoi fare, Uolter (scusa se insisto a chiamarti così, ma da quando seguo il telefilm Fringe fatico a chiamare 'Valter' un Walter), in concreto, per cambiare le sorti di quel dolore ostello che è la nostra Patria? Nella lettera parli di "governo di emergenza per affrontare crisi sociale e legge elettorale", cioé la stessa cosa di cui parlava Bersani, che peraltro consideri ancora tuo leader. E allora, si può sapere che vuoi?

Perdonami il tono perentorio, Uolter Veltroni, tu stesso sai bene che il vostro elettorato è sfiduciato, e, del resto, a quanto pare hai scritto la lettera solo per ribadire l'innovativo concetto a chi è già d'accordo (ovvero tutti, anche gli avversari politici). Che poi, sarà poi così vero, questo concetto? A me Pierluigi Bersani piace: all'inizio no, ma ultimamente ha tirato fuori un po' di zebedei romagnoli...forse gli ultimi, perché la Lega vuole che la Romagna seceda dall'Emilia, e se lo vuole la Lega, son dolori, Veltroni, tu lo sai bene, tu che l'hai rincorsa per tutto il 2008. Il che è peraltro un fatto positivo, perché almeno hai capito che è quello l'elettorato a cui dedicare maggiore attenzione, pieno com'é di sfiduciati di sinistra.

Ma Pierluigi Bersani, a differenza tua, non ha alle spalle una campagna elettorale disastrosa. Tu sì, e non lo puoi negare, perché se fai l'Obama lo fai fino in fondo (non è che fai un po' Obama e un po' Clinton, o uno o l'altro). A questo proposito: ma non dovevi andare in Africa? Lo dicesti nel 2003, che, terminato il secondo mandato da sindaco di Roma (nel 2011) ti saresti ritirato nel continente nero a fare quello che dovevi fare. Invece, in questo momento delicato, in cui Berlusconi è un po' a rischio (solo un po', ma meglio che niente), tu te ne salti fuori con un documento e una lettera che dicono cose che sanno tutti, solo perché ti annoi e vuoi "discutere": adesso devi discutere? Negli ultimi due anni che hai fatto, a parte riabilitare Craxi? Mah.
Dici: vabbé, il mandato da sindaco di Roma è terminato prima del previsto, dovevo impiegare il tempo in qualche modo. Eh, sì: peccato che quel mandato è terminato per volontà tua, e che le elezioni anticipate vinte dall'ex-fascista amico degli ebrei (sta sempre con loro) sono state una conseguenza dalla tua decisione di fare il salvatore della sinistra (che non solo non hai salvato, ma sta peggio di prima).

Ma io ti capisco, Uolter Veltroni. Non è facile essere così avanti sui tempi da esservi indietro, come teoria della relatività vuole. A te piace discutere, ti piace fare il real-socialist (in senso USA), quello che ama la cultura, i libri, finanzia il festival del cinema anche a costo di non riparare mai le buche della Prenestina o di altre strade (pressoché tutte). Ma questa è una costante dei sindaci di Roma, per cui te l'abbuono. A te piace essere tollerante e buono con tutti, Veltroni, e io sono d'accordo con te. Proprio per questo ti domando: perché non tolleri Bersani e il partito che tu stesso hai contribuito a fondare? [Anche se su questo punto ci sarebbe da discutere: visto che state tutti là da quindic'anni, 'sto partito avrà minimo trenta fondatori.]

Insomma, ti pare questo il momento di mandare la lettera a Scalfari, che poi non ho capito perché scrivete sempre a lui e a me no, chi sono io, il figlio della serva? Anch'io sono obamiano, real-socialista, progressista, mica solo te e gli altri settantaquattro che ti danno ancora retta. Dovete scrivere agli elettori, non a Scalfari.
È bello sognare, Uolter, ma in politica si dev'essere pragmatici. Per cui, ripensaci: cambia.

Saluti e pace,

tuo
Max Brody

(20 settembre 2010)

post scriptum: te lo ricordi cosa cantavano i mitici Pitura Freska? "Ma sarà vero? Dopo Miss Italia nera un Papa nero". Si riferivano a Prodi, ovviamente (dato che la canzone è del '97). Dopo quel bel biennio, tu hai mai più visto una Miss Italia nera? Denny Méndez è stata l'ultima. Allo stesso modo, vedi in giro "Papi stranieri" in grado di guidare forze riformiste? Chi sarebbero questi illustri esponenti della società civile? Montezemolo? Marchionne? Tanzi? Lo sai, vero, che un esponente della società civile si è affacciato alla politica nel 1994 con lo stesso obbiettivo, e non riusciamo a togliercelo più dai piedi?
post scriptum bis: Prodi non era un esponente della società civile, era un democristiano (buono, ma sempre affiliato a un partito).

venerdì 17 settembre 2010

La Bustina di Malerba. 8 : Collezionisti di 2°Specie. Una breve sinossi

COLLEZIONISTI DI 2°SPECIE. UNA BREVE SINOSSI

Forse ho già accennato alla mia iscrizione all'albo dei Collezionisti di 2°Specie, quella particolare genia di Collezionisti di Fumetti nota per privilegiare il contenuto, la sostanza, il Fumetto al contenitore, la forma, l'Albo, e che pure non dimentica di portare rispetto a questi ultimi.
Il Collezionismo di 2°Specie è tema assai richiesto ultimamente, forse perché la massa vi si riconosce: quando il popolo è scontento, dagli una mania collettiva e quello vi si butterà a pesce. Beh, perché mai deluderlo?
Il Collezionista di 2°Specie ha abilità da ragioniere. Mentre quello di 1°Specie passa ore e ore ad esaminare il materiale cartaceo, palpandolo, annusandolo, assaggiandolo, il Collezionista di 2°Specie elabora in quattro e quattr'otto l'Algoritmo Qualità/Prezzo, complesso meccanismo matematico, ma anche sociologico e politico, in grado di stabilire, su due piedi, se il pezzo che si ha di fronte merita l'acquisto o meno. Un Algoritmo con poche costanti e molte variabili, sicché non ne esiste in natura una formula univoca: ognuno ha la propria. Un Algoritmo innato, quindi, in senso chomskiano, nel quale sono ravvisabili, a fronte di mucchi di tempo da perdere, alcune caratteristiche comuni:


a)Il Prezzo dev'essere inferiore o, al massimo, uguale al Prezzo di Copertina Originario dell'Albo. Può essere superiore solo in determinate circostanze, ad esempio se si tratta di un Albo Raro, o di un Albo Rar*.


b)La Condizione Effettuale dev'essere tale da non oltraggiare il Pubblico Pudore e la Comune Decenza.

c)Il n.° di copie acquistate per singolo Albo è 1. Non inferiore (non vi sarebbe acquisto), né superiore (è prerogativa dei Collezionisti di 1°Specie, non di 2°).

d)L'Albo non deve mettere le mani nelle tasche dell'acquirente, al fine di lasciarlo in braghe di tela; ovverosia, l'acquirente, uscito da casa coi soldi contati, non deve rimanere al verde per via dell'acquisto: va trattenuta una percentuale di danaro bastante a tornare a casa senza bisogno di elemosina. Questo, purtroppo, comporta spesso dolorose rinunzie.

e)L'RDA giornaliera, ossia il fabbisogno quotidiano del Collezionista di Fumetti, prevede un apporto del 25% di Fumetti in edicola, un 35% nei remainders, un 20% fra mercatini e chioschi e il restante 20%, da consumarsi alla sera, è costituito dalla Rilettura. Purtroppo, com'é risaputo, i Collezionisti d'oggi tendono a non curarsi troppo della propria forma fisica.

Ma l'Algoritmo Qualità/Prezzo non è schematizzabile con semplicità. Troppe sarebbero (e sono) le differenze antropologiche in gioco. Il Collezionista di 2°Specie è capace di trascorrere interi pomeriggi in una libreria ed uscirne senza comprar nulla. D'altronde, sempre di malato si tratta. Ma è un malato consapevole (a differenza dei Collezionisti di 1°, che vivono sull'onda dell'esaltazione). Egli, dopotutto, compra gli Albi per leggere le storie, e legge le storie per assimilarle e sussumerle nella propria "biblioteca di Babele" mentale; lavoiserianamente, ricicla a suo uso e consumo il Fumetto letto e ne trae verità, o almeno così s'illude.
Pertanto il Collezionista di 2°Specie è solito leggere il prima possibile il Fumetto acquistato, ma ha bisogno, si capisce, d'intimità. Non lo si vede leggere mentre cammina, e nemmeno in metropolitana, luogo deputato per spiare gli altri, e in treno o in autobus legge solo se è seduto e non ha individui alitanti intorno. Non legge sul muretto, ma legge in università, ove nessuno fila nessuno; legge seduto sulle panchine, nei parchi, unico luogo in cui, forse, manifesta superiorità nei confronti dei Non Collezionisti.
Legge perché non gl'importa più di tanto se l'Albo, a contatto con l'aria, ingiallisce: gli dà senso di "vita vissuta". Almeno finché non torna a casa e ripone l'Albo sullo scaffale. Lì sì che son dolori.

*Un Albo Raro è un Albo che, per ragioni di mercato (spesso e volentieri puramente convenzionali), è considerato difficilmente trovabile, se non a elevati costi; in questo caso il Collezionista di 2°Specie è tenuto, perlomeno moralmente, ad appropriarsene, a meno che non ne esista (o non possieda già) una ristampa più affabile.
Un Albo Rar, come indica l'acronimo, rimanda al concetto di "archivio" (quello personale del Collezionista); il Collezionista di 2°Specie non colleziona un Fumetto perché ne vuole tutti gli Albi editati (e ancora da editare), ma perché ne vuole le storie. Sicché l'Albo Rar è quell'Albo che non è difficilmente rintracciabile in quanto ne esistono pochi pezzi e il mercato vi specula sopra, ma che è difficilmente rintracciabile per puro Caso. Per chi scrive un Albo Rar è stato per lungo tempo il 19° Speciale di Martin Mystère, fino a quando un'amica, senza dubbio inviata del Caos (il Caso che governa il mondo), gliene ha gentilmente fatto omaggio, perdipiù senza pretendere nulla in cambio. Ecco un'altra particolarità: il Collezionista di 2°Specie deve avere qualcuno che gli voglia bene e gli venga incontro in caso di bisogno. Pertanto deve prepararsi a ricambiare.

(2010)

venerdì 10 settembre 2010

La Bustina di Malerba. 7 : Ancora sui Collezionisti di Fumetti

Il seguente pezzo prosegue idealmente il discorso accennato in Come distinguere un Collezionista di Fumetti, "La Bustina di Malerba 1a. Come distinguere un Collezionista di Fumetti", http://ilbidoneelharddisk.blogspot.com/2010/07/la-bustina-di-malerba-1-come.html, 2010.


ANCORA SUI COLLEZIONISTI DI FUMETTI

Le ossessioni compulsive sono considerate abnormalità, deviazioni dal vivere comune, qualcosa da compatire. Ciò nonostante ben di rado si trovano individui che ne sono totalmente privi: c'é chi degenera nella violenza, fisica e non, c'é chi si limita ad un tic nervoso. E, fra i tanti, c'é chi colleziona fumetti.
Il Collezionista di Fumetti è animale vorace ed insaziabile. Scruta, annusa, fiuta, cerca, trova, pedina, su uno o più fronti. Non tutti i Collezionisti di Fumetti sono uguali: si era già parlato, a suo tempo, dei Collezionisti di 1°Specie, ovvero dell'ala più radicale del movimento. Di stampo quasi reazionario, i Collezionisti di 1°Specie sono soggetti estremamente bizzarri, per i quali è difficile non provare compassionevole simpatia (è il fascino dell'astruso).
I Collezionisti di 2°Specie, e chi scrive è additabile come tale, costituiscono una cerchia prevalentemente moderata, benché, come sempre accade, non manchino fuoriusciti estremisti poi convertitisi.
Qual é la differenza? Nel fatto che, quando hanno tra le mani un albo a fumetti, i Collezionisti di 2°Specie si concentrano maggiormente sui fumetti, mentre i Collezionisti di 1°Specie guardano piuttosto all'albo.
L'importanza dell'Albo In Quanto Tale è scientificamente provata, e non si pensi che i Collezionisti di 2°Specie non ne abbiano consapevolezza. Ma la valenza della Storia A Fumetti In Sé E Per Sé è senza dubbio superiore.
La Storia A Fumetti In Sé E Per Sé emoziona, permette al fruitore di sperimentare su di sé una gamma alquanto ampia di sentimenti (fra i quali, chiaramente, anche il non-sentimento). L'Albo In Quanto Tale porta gioia effimera: chi trova un Albo a lungo cercato è l'uomo più felice del pianeta, sul momento, ma successivamente gli subentra lo sconforto dell'Altro Albo Mancante. Il Teorema di Lhaitrovàt-Purtròpp-No recita: Dati un Collezionista sufficientemente dotato e una Collezione Incompleta mancante di una quantità di Albi > 1, il ritrovamento di un Albo Mancante non colma il divario fra la Collezione Incompleta e la Collezione Utopica Completa del Collezionista, anzi, tale divario tende ad aumentare.
E' noto, infatti, come il cruccio maggiore per un Collezionista di 1°Specie sia dato, non solo dalla Completezza o meno della propria Collezione, ma anche e soprattutto dalla Condizione Effettuale della stessa. I criteri di Very-Mint, Mint, Near-Mint, Very-Fine, Fine, Very-Good, Good, Fair, Poor (qui da noi divenuti Magazzino, Da Edicola, Ottimo, Molto-Buono, Buono, Discreto, Leggibile, Pessimo/Da Buttare) non paiono arginare il problema. Come definire un Albo Perfetto (Ottimo) che presenta una piega all'angolo inferiore della retrocopertina? Lo si retrocede a Buono? Sarebbe uno smacco per il 96% dell'Albo. E, del resto, in democrazia anche il 4% ha una sua importanza.

I Collezionisti di 2°Specie, meno attaccati all'universo materiale, se la sono cavata stipulando il Trattato di Portaportese, per il quale "Pur valutandone con sufficiente criterio la Condizione Effettuale, nonché il Grado di Rarità, l'Albo Usato me lo fai al massimo al Prezzo di Copertina, sennò lo compro da Qualcun Altro". Un Trattato che, come ogni Trattato che si rispetti, genera più di una perplessità, ma permette sonni certamente più tranquilli.

(2010)

mercoledì 8 settembre 2010

Nuovo Ulivo e Alleanza Democratica - parte seconda. (una mia lettera a Pierluigi Bersani)

Ricorderete, un paio di settimane fa, la lettera di Pierluigi Bersani a "La Repubblica". Siccome che mi ha colpito molto tanto, ho pensato bene di rispondergli e dirgli la mia, in quanto privato (di tutto) cittadino.
Questa la lettera di Bersani:

CARO direttore,

dopo anni di illusione berlusconiana l’Italia continua a regredire sul piano economico e sociale e si allontana, alla luce di ogni parametro, dai paesi forti dell’Europa. Nello stesso tempo l’impegno a riformare e a rafforzare le istituzioni repubblicane si sta trasformando in una deformazione grave della nostra democrazia. Ci si vuole trascinare ad un sistema dove il consenso viene prima delle regole e cioè delle forme e dei limiti della Costituzione; dove si limita l’indipendenza della Magistratura; dove il Parlamento viene composto da nominati; dove il Governo ha il diritto all’impunità e ad una informazione asservita e favorevole; dove si annebbiano i confini fra interesse pubblico e privato. I segni di tutto questo li abbiamo potuti valutare in questi anni berlusconiani: regressione dello spirito civico e della moralità pubblica, politica ridotta a tifoseria, allargamento del divario tra nord e sud, nessuna buona riforma sui problemi veri dei cittadini. Il populismo infatti è, per definizione, una democrazia che non decide, specializzata com’è nell’usare il governo per fare consenso e non il consenso per fare governo. Il dato di fondo della situazione politica sta qui, mentre la questione sociale e quella del lavoro sono senza risposte e si drammatizzano ogni giorno. Il consenso per Berlusconi è ancora largo, ma il rapporto fra parole e fatti e fra promesse e realtà diventa sempre più labile anche nella percezione dei ceti popolari. Vengono alla luce degenerazioni corruttive che vivono all’ombra di un potere personalizzato. Gli strappi all’assetto costituzionale non sono più sopportati da una parte della destra attratta da ipotesi liberali e conservatrici di stampo europeo.

A questo punto per Berlusconi la scelta è fra ripiegare o alzare la posta. Per l’Italia la scelta non riguarda più solo un governo, ma finalmente una idea di democrazia e di società. La prossima scadenza elettorale, più o meno anticipata che sia, comporterà in ogni caso una scelta di fondo. Rispetto a tutto questo, la proposta alternativa soffre ancora di debolezze che devono essere rapidamente superate. Il venir meno di una promessa populista produce sempre, direttamente o specularmente, fenomeni di distacco dei cittadini dalla politica, una spinta alla radicalizzazione impotente, espressioni vere e proprie di antipolitica che possono insorgere da ogni lato. Il compito dell’alternativa è quello di trasformare grande parte di queste forze disperse in energia positiva, collegandole ad un progetto politico capace di sorreggere non solo una proposta di governo ma una proposta di sistema. Tocca al PD innanzitutto, come maggiore forza dell’opposizione, indicare una strada che colleghi efficacemente l’iniziativa di oggi alla sfida radicale e dirimente di domani.

Rendendoci disponibili oggi ad un governo di transizione non cerchiamo né scorciatoie né ribaltoni. Sfidiamo piuttosto la destra a riconoscere la realtà e ad ammettere l’impossibilità di mandare avanti l’attuale esperienza di governo e ad introdurre correttivi, a cominciare dalla legge elettorale, che consegnino lo scettro ai cittadini, per tornare poi in tempi brevi al voto. Sarebbe questo un tradimento del mandato elettorale? L’elettore in realtà è stato tradito da chi non è più in grado di rappresentare la sua coalizione e mantenere le promesse del suo programma.
Sarebbe questo uno strappo costituzionale? Qui siamo all’analfabetismo o alla sfacciata malafede. E’ l’esclusione in via di principio di questa ipotesi, il vero strappo costituzionale!

Chi ha rispetto della Costituzione della Repubblica e del suo Presidente deve considerare invece tutte le possibilità. Noi lo facciamo. Noi consideriamo la possibilità che il Governo provi a sopravvivere con una specie di respirazione artificiale, rifiutandosi di prendere atto della sua crisi politica. Una soluzione che non porterebbe lontano e alla quale risponderemmo con una opposizione netta. Riteniamo infatti doveroso che la destra in disfacimento certifichi la sua crisi in Parlamento. Consideriamo altresì la possibilità che la situazione precipiti verso un vuoto politico e verso elezioni svolte con questa sciagurata legge elettorale, in una situazione economica, sociale e finanziaria di acutissima criticità. In questo caso la nostra proposta avrebbe la stessa ispirazione che oggi ci fa proporre un governo di transizione; una ispirazione cioè che deriva dall’analisi di fondo cui ho
accennato. Noi proporremmo un’alleanza democratica per una legislatura costituente. Un’alleanza capace finalmente di sconfiggere una interpretazione populista e distruttiva del bipolarismo, capace di riaffermare i principi costituzionali, di rafforzare le istituzioni rendendo più efficiente una salda democrazia parlamentare (a cominciare da una nuova legge elettorale) e di promuovere un federalismo concepito per unire e non per dividere. Sto parlando di una alleanza che può assumere, nell’emergenza, la forma di un patto politico ed elettorale vero e proprio, o che invece può assumere forme più articolate di convergenza che garantiscano comunque un impegno comune sugli essenziali fondamenti costituzionali e sulle regole del gioco. Una proposta che potrebbe coinvolgere anche forze contrarie al berlusconismo che in un contesto politico normale (come già avviene in Europa) avrebbero un’altra collocazione; una proposta che dovrebbe rivolgersi ad energie esterne ai partiti interessate ad una svolta democratica, civica e morale. Come si vede, questa idea nasce dalla convinzione che la fuoriuscita dal berlusconismo non sia un processo lineare, cioè legato ad una semplice alternanza di governo in un sistema che funziona. Si dovrà uscire, lo ribadisco, da una fase politica e culturale e non solo da un governo, verso una repubblica in cui alternanza e bipolarismo assumano la forma di una vera fisiologia democratica.

Per dare l’impulso decisivo a questo cruciale passaggio occorre l’impegno univoco, leale, convinto e coeso di tutte le forze progressiste, che sono adesso chiamate a mettersi all’altezza di una responsabilità democratica e nazionale.
Come potrebbero queste forze essere credibili se in un simile frangente non dessero per prime una prova di consapevolezza, di unità e di determinazione comune? Ecco allora la proposta di un percorso comune delle forze di centrosinistra interessate ad una piattaforma fatta di lavoro, di civismo, di equità, di innovazione e disponibili ad impegnarsi ad una progressiva semplificazione politica e organizzativa che rafforzi il grande campo del centrosinistra. Un simile percorso dovrebbe lasciarci definitivamente alle spalle l’esperienza dell’Unione e prendere semmai la forma e la coerenza di un nuovo Ulivo. Un nuovo Ulivo in cui i partiti del centro sinistra possano esprimere un progetto univoco di alternativa per l’Italia e per l’Europa e mettersi al servizio di un più vasto movimento di riscossa economica e civile del Paese. Dunque, un nuovo Ulivo ed una Alleanza per la democrazia.
Su queste proposte il Pd vuole esprimere la sua funzione nazionale e di governo.

Su queste basi politiche il Partito Democratico organizzerà per l’autunno una grande campagna di mobilitazione sui temi sociali e della democrazia. E’ giunto il tempo infatti di suonare le nostre campane.

Pierluigi Bersani

(26 agosto 2010)


Ed ecco la mia risposta:

Caro Pierluigi Bersani,

ti scrivo così mi svago un po'. Sono un potenziale elettore del tuo partito, che però non ti vota (poi ti spiegherò il perché). Ti prego di perdonarmi se ti dò del 'tu'. Ma ho idea che tu sia un tipo alla mano, e poi sono convinto che voi politici svolgiate un ruolo di rappresentanza di noi cittadini e che, quindi, siate voi stessi dei cittadini, e fra cittadini che la pensano allo stesso modo ci si dà del 'tu', io credo. Forse sono un po' all'antica, ma la formalità è d'uopo solo nelle occasioni formali, non credi? Certo, tu puoi obiettarmi che questa lettera pubblica è un'occasione formale, ma tu sei un mio rappresentante, ricordi?, e un po' di confidenza ci vuole, sennò come fai a rappresentarmi a dovere? E questo, in teoria, è già uno dei motivi per cui non ti voto. Mi spiego meglio: quando nacque, ormai quattro anni orsono, il Pd mi piaceva moltissimo. Non perché mi piacesse il nome o perché trovassi azzeccati i colori (anche perché chi li ideò non si sforzò molto, li copiò dal Pd USA): ma perché reput(av)o che quella fosse la direzione giusta da intraprendere per dare una svolta alla stantia politica italica.

Sono convinto, come probabilmente lo sarai tu, che parlare di "destra", "sinistra" o "centro" sia sbagliato, in quanto sono etichette che non servono a nulla: sicuramente saprai che la "destra" si chiama così perché, quando venne creato il Parlamento, i liberali e i conservatori sedevano in quel lato, mentre i progressisti sedevano sulle poltrone situate nell'ala di sinistra (utilizzo i termini "progressisti" e "conservatori" per fare prima, perché conosciamo tutti il progressismo di Crispi). Probabilmente lo saprai anche tu, dicevo, epperò nella tua lettera utilizzi costantemente le due parole (tre con "centro"): fai bene, perché il primo ad utilizzarle è l'attuale Presidente del Consiglio, il quale, come tutti gli UR-Fascisti sanno, deve, per prima cosa, semplificare il lessico, e, seconda, avere un 'nemico' da additare. Così si rincitrullisce la plebe incolta: e, proprio come ribadisci più volte nella tua missiva, oggi la plebe incolta è ormai rincitrullita pressoché del tutto (poi, certo, magari un focolaio si riaccende da una parte, ma altrove se ne spegne un altro).

Pertanto fai bene ad appropriarti del linguaggio del tuo avversario politico, e fai altrettanto bene a non esagerare. Sai, devo farti una confessione: ho trovato davvero azzeccata, dal punto di vista lessicale, la tua lettera (non una in particolare, tutte assieme così come le hai disposte): ultimamente sembra che tu abbia capito cosa fare. Però, Pierluigi (senza "compagno": aboliamo quella parola, sa di vecchio), se hai capito cosa fare, perché continui a circondarti di certi individui? Mi riferisco, chessò, a Fassino, a Enrico Letta, a D'Alema, a tanti altri... offri una vasta scelta. Perché non li convinci a farsi da parte? Non perché siano particolarmente cattivi, c'é di peggio, ma, sant'iddio, se la gente, hai presente la gente?, se la gente ripete in continuazione che non vogliono quei personaggi, fatti furbo, no? Forse sarà il caso di non averli più intorno, se vuoi far sì che le tue proposte vengano accettate: perché per far sì che vengano accettate, esse debbono essere votate, e per essere votate, devi avere più voti di quanti ne hanno quelli che non vogliono accettarle, e quindi devi avere più seggi, e quindi devi vincere le elezioni.

Ora: tu mi parli di "Nuovo Ulivo". Cioé, non ne parli a me, ne parli a Eugenio Scalfari: ecco, a proposito, vedi che fai ancora degli sbagli? Perché ne parli a Eugenio Scalfari? Che, il suo voto è determinante? Ti fa vincere lui le elezioni? O te le fanno vincere i tuoi elettori? Queste cose le devi dire prima di tutto ai tuoi elettori, che ne so, alle Feste Democratiche: ecco, alle Feste Democratiche vai tu e dici queste cose, senza invitare Schifani, possibilmente. Tu devi guardare anche alle persone: non è che puoi allearti col primo che passa. Tu hai proposto l'Alleanza Democratica per cambiare la legge elettorale: sono d'accordissimo! Però, forse avrai notato, Di Pietro non ci sta: é un guaio, perché la sua fetta di elettori è determinante; Fini ciondola, perciò escludilo, non tenerlo più in considerazione: se vota la tua proposta, bene, sennò amen. Casini: pone troppe condizioni... fatti rispettare, per Dio! Nel suo partito ci sono dei condannati, devi proprio legarti a lui? Vendola non ti piace? Vendola parla in modo buffo, è divertentissimo prenderlo in giro, e tu, che conosci le strategie berlusconiane, sai che alla gente piace prendere in giro i politici: Prodi e D'Alema erano sbeffeggiati di continuo. Tu sei un tipo simpatico, personalmente preferirei te a Vendola, però Vendola suscita maggiori entusiasmi, e popolari, e populistici. Fai un po' te: parlate da mesi di primarie, primarie qui, primarie là, ma quando le fate? Aspettate che si vada a votare?

Mah, caro Bersani, io ti capisco. Non è facile occupare certi ruoli. E' un po' come quando tutti si credono il ct della Nazionale di calcio: tutti a criticare, ma vorrei vedere loro cosa farebbero in determinate circostanze... (detto fra noi, io critico sempre la Nazionale di calcio). Queste sono critiche fatte un po' così, però dovresti starle a sentire. Tu sei un bravo guaglione, però ti circondi di gente evitabile. Capisco benissimo l'importanza della moderazione, della diplomazia, del dialogo. A volte, però, ci vuole anche una presa di posizione. Ultimamente mi sembra che tu ne abbia presa una, anche se hai aspettato che lo facesse prima Fini (che, ricordati, è un paragnosta e ricomincia pure a parlare di Almirante e fasci vari).
Mandiamo al macero falce e martello, e via tutti i conservatori del partito: fallo diventare quello che avrebbe dovuto essere, un partito progressista. Concedi la possibilità ai poveri gay di sposarsi e godere degli stessi diritti delle coppie eterosessuali; buttati sull'ambiente, e non permettere a certi tuoi colleghi di partito di dire cose conservatrici, tipo le centrali atomiche, che non risolvono niente e provocano solo scontri; invece di andare a Sanremo a far figure barbine, occupati degli operai, dì a chiare lettere che Marchionne è un sòla, e che uno che fabbrica le macchine non può atteggiarsi a Gandhi, manco avesse salvato il mondo (mi riferisco al discorso fatto ai ciellini); il populista fallo solo sulla carta, sui giornali, come hai fatto con la tua lettera: dal vivo comportati spontaneamente, come sei.

Io credo che tu sia una brava persona, Pierluigi Bersani, non lasciarti trasportare dagli avvenimenti, creali tu, ma con calma; evita le cattive compagnie, e pensiona quelle anacronistiche, datti al nuovo. Parla con i vecchi, ma in mezzo ai giovani. Rivolgiti ai giovani - a quelli dotati di senno, ovviamente - come il simpatico e pimpante nonno che sembri, quello a cui tutti vogliono bene e che prendono come esempio. Tipo il nonno di Heidi, hai presente?
Heidi gli voleva un bene dell'anima. Anche Peta, o Pete, come si chiamava... ecco, fatti voler bene così. E poi parli a Clara, ché quei due sono abbastanza stupidi, mentre Clara è sveglia, non è cattiva, ma non la pensa come te.
E quando avrai fatto a capire a Clara le tue istanze, non dimenticando di voler bene ad Heidi e Peta, facendo ciò che è giusto per loro, avrai svolto serenamente il tuo compito e potrai farti da parte, anche se, così facendo, le elezioni successive saranno rivinte da Berlusconi. Che vuoi fà, è l'Italia.

E' un mondo dificile, caro Bersani, lo so bene. Proprio per questo, fai qualcosa. 'Ste campane, le hai suonate? O sei ancora lì ad aspettare che il parroco ti dia il permesso?

Tante care cose,
tuo Max Brody

p.s.: saluti a Eugenio Scalfari! Perdoni l'intromissione!

(08 settembre 2010)

venerdì 3 settembre 2010

La Bustina di Malerba. 6 : Come tagliare una /pɛska/

Apriamo con due novelle, una lieta e l'altra meno. La lieta è che, qui di appresso, s'iniziano gli inediti di questa rubrica, con le sue consuetudini di sempre: temi dedicati di volta in volta a ciò che mi passa per la mente quando sono in ritardo e non so cosa scrivere, e ispirati a fatti di vita personale; linguaggio semplice, nazional-popolare, ma non becero; settimanalità promessa ma non garantita. La novella meno lieta è che, qui di appresso, s'iniziano gli inediti di questa rubrica, con le consuetudini di sempre (le trovate nelle righe precedenti). Ebbene sì, le due novelle coincidono. Ma c'est la vie, così va la via: già, ma quale? via Cavour? via Cairoli? via Roma? via Zurbedda? Inutile porsi la domanda. Il mondo è un Tuttocittà, e quando ti serve qualcosa, non lo trovi mai.
Memento: la "Bustina di Malerba" prende il proprio nome dalla quantità di erba che sono solito fumarmi prima di cominciare un servizio.
A voi la palla. A giudicare dalla quantità di commenti ricevuti alle puntate precedenti, il termine è quanto mai appropriato.



COME TAGLIARE UNA /PƐSKA/

Tagliare una pesca è operazione che richiede pazienza, concentrazione, impegno, nozioni di architettura, mano da chirurgo e un pizzico di sacralità.
La /pɛska/ è antropomorfa, viene naturale umanizzarla: ha la "pelle", è dolce ma aspra, è piena di contenuti ma vuota, bada agli altri ma pensa solo a sé stessa. Si comporta come un essere umano, e, in quanto tale, esige essere trattata come un essere umano.
Quando facciamo la conoscenza di un individuo sino a poco prima mai preso in considerazione, ne tastiamo le caratteristiche. Ne saggiamo la sostanza: se dice cose intelligenti o idiozie; se dice idiozie per farci ridere o perché è stupido; se dice cose intelligenti perché le ha imparate a memoria o perché usa il cervello; se siamo d'accordo con quello che dice oppure no; se è vanaglorioso oppure se è umile; se è vigliacco o ardimentoso. Ne saggiamo la forma: ascoltiamo il tono della voce, l'inflessione regionale, il difetto di pronuncia, gli contiamo i nei, ci chiediamo è bello o brutto? è grasso o magro? ci faremmo l'amore o ci schifa?

Allo stesso modo, quando decidiamo di gustarci una pesca, ne tastiamo la consistenza: ne saggiamo forma e sostanza, allo stesso tempo. Se è dura, la scartiamo. Se è matura, la mangiamo. Ma se è troppo matura, la scartiamo di nuovo. Una persona impassibile, scorbutica, porta ad allontanarci dall'approfondire la chiacchierata. Al contrario, una persona tranquilla, aperta, induce anche noi ad aprirci. Ma una persona troppo aperta, sbracata, ci fa scappare di nuovo. Ancora una volta, la pesca come simbolo della variabilità dell'uomo.

Ma torniamo all'argomento della puntata odierna: il taglio della pesca. Chi scrive non possiede nemmeno uno dei prerequisiti elencati all'inizio: è ansiogeno, soffre di disturbo dell'attenzione, è pigro, considera Renzo Piano il marito della Loren (questo perché lo confonde sempre con Carlo Ponti), soffre di alzheimer precoce ed è solito invocare santi e meretrici, appellando le due ammirabili categorie con i peggiori improperi.
Pertanto Egli - che scrive di sé in terza persona, come Giulio Cesare - è solito tagliare il frutto romanista (o leccese, o messinese; le tonalità di giallo e rosso variano al variare delle varietà) a quadrangoli irregolari, a fette ellissoidali, oblunghe, con squarci sempre e inopinatamente scaleni. Le conseguenze, lascio immaginare, sono prevedibili: pezzi di polpa che schizzano come saponette, tovaglie e vestiti inzaccherati, bagni di succo saccarinoso, sbrodolamenti da far impallidire i più scapestrati neonati.
È la scalenità dell'essere umano-in-quanto-essere-umano, l'obolo da pagare ad ogni nuova venuta al mondo; l'uomo è imperfetto, al massimo pochi individui riescono ad avvicinarsi all'Ideale della Perfezione, ma la maggioranza non la sfiora nemmeno con il pensiero. Parallelamente, le poche personalità che, con mano ferma, sono in grado di tagliare la pesca senza insudiciarsi completamente, toccano, anche solo per un istante, la Vetta dell'Infinito.
E gli altri? Possono sognare anche loro: quando trovano una pesca succosa e dolce, trovano il frutto più buono che esista. Trovano un amico, e un tesoro. Ma prima si devono sorbire mille pesche acide, il peggior frutto che esista.

(2010)

martedì 31 agosto 2010

De Nicola Vendolae ars dicendi

http://www.repubblica.it/politica/2010/08/25/news/primarie_subito_poi_le_alleanze_parlando_anche_coi_cattolici-6493430/


Spesso si sente dire in giro che la lingua italiana sta morendo, pugnalata con ferocia da anglicismi, americanismi, esse-emme-essismi, tecnicismi (pseudo) giornalistici e giornalismi (pseudo) tecnicistici, e chi ismi ne ha più ne metta. Eppure, si dice in giro, personaggi come Nicola Vendola sanno attrarre a sé le attenzioni di molti grazie ad un sapiente utilizzo del nostro vernacolo.

Nicola Vendola arricchisce le sue locuzioni con termini insoliti, metafore ardite, soluzioni nuove e riusi dimenticati. Non lo fa mai per caso o per convinzione. Lo fa perché lui parla proprio in quel modo, e in nessun altro, e se parlasse come un Bersani o un Casini non sarebbe più lui. Vendola deve "sparigliare le acque del centrosinistra": potrebbe, che so, "porsi come nuovo punto di riferimento della sinistra (o centro-sinistra) italiana"; oppure, chissà, le "acque" potrebbe ripulirle, drenarle, prosciugarle, rimestarle, agitarle: no, lui deve "sparigliarle". Se non le spariglia non se ne fa niente, punto e basta.
Allo stesso modo la politica italiana è un "verminaio", e lo scenario in cui ci muoviamo è "verminoso". Poteva dire "letamaio" e "letamoso", ma Vendola non ama la volgarità nuda e cruda (anche se, magari, scappa la parolaccia anche a lui, ma la dice in un modo tale che è impossibile arrabbiarsi). Il verme è animale strisciante, subdolo, che dà, sì, senso di sporco, ma è uno sporco lontano, distante, qualcosa che non conosciamo e che deve far paura: tutti facciamo la cacca, e nessuno si scandalizza più se parli di "letame"; ma col "verme" vai sul sicuro, ché il viscidume fa molto più senso.
Perdipiù "verme" è retaggio del passato, si usava fra gli altoborghesi assieme a "fellone", "zotico" e altri insulti del genere, che oggi fanno solo ridere, e chi li riceve, e chi li esclama. Vendola è riuscito a ridare lustro al termine, ad introdurlo fra il pubblico giovanile - che gli è particolarmente caro -, accontentando al contempo i vecchi, speranzosi che i proverbiali 'tempi di una volta' possano un giorno ritornare (al più presto, se possibile).

Insomma, Vendola adotta la tecnica del riuso di brioschiana memoria, la plasma a suo piacimento, riunisce il padre con il figlio, l'altoborghese con la casalinga (oggi la differenza è minima), il contadino con l'industriale. Dice loro: guardate che abbiamo un nemico comune, basta litigare fra di noi, perdipiù con parole sguaiate, uniamoci e combattiamo. Senza violenza, solo con le parole. Nell'additare il nemico (identificato di volta in volta con un "ismo" differente - politicismo, berlusconismo, trasformismo, qualunquismo, scambismo, ... -, e chi ha un poco di cultura nozionistica sa quanto male hanno prodotto gli "ismi" del secolo vigesimo!) egli lo presuppone come superiore, certo, ma battibile. A questo proposito, fondamentale gli risulta la metafora arboricola.

Per sradicare un albero, si sa, è necessario tutto un armamentario dal costo, in termini economici e umani, non indifferente; mica si sradicano a mani nude. Quindi ci vuole molta fatica, ma alla fine ci si riesce. La stessa cosa, per Vendola, accade con la politica: le cricche, le caste, sono i rami di quel grosso albero che è il sistema dei partiti italiano, con le sue radici ben piantate alle poltrone; un "albero di pregiudizi", a cui non bisogna "impiccarsi" (riuscita metafora dell'arresa), ma che bisogna potare e rinfrescare con acqua nuova (precedentemente sparigliata, si presume). Come detto, occorre tutto un armamentario costoso per intraprendere operazioni del genere. Ed ecco che Vendola parla di "cantiere" per indicare la sua strategia, ed accontentare così gli operai; ma poi si rituffa sull'ecologia: la coalizione non dev'essere formata da tanti "cespugli" grandi e piccoli, ma l'"innervatura" può e deve prevedere anche un tuffo nel mare dell'"arcipelago cattolico". Di nuovo l'erba, di nuovo l'acqua (dall'idea di isola e per metonimia). È che Vendola non pone la natura in campo lungo, medio, in totale o in piano americano: la pone in primo, primissimo piano. Se la sinistra* non vuole andare alla "deriva" (ancora mare!) deve mettere in campo (ancora erba!) idee nuove: riguardo a cosa? Al lavoro, alla vita sociale e, naturalmente, al "rapporto con la natura".

Ecco, forse, il vero obbiettivo di Vendola: egli auspica un ritorno all'antica Età dell'Oro, quando gli uomini, e le donne e gli animali e le piante, vivevano in armonia, rispettandosi l'un l'altro; l'Età in cui la parola era bandita, e si comunicava telepaticamente: fu l'invenzione della scrittura, che per sciocca convenzione consideriamo discrimine fra Preistoria e Storia, a dare l'avvio al processo di rimozione mnemonica delle nostre capacità; in parole povere: a farci dimenticare. Facciamo tanti discorsi sulla memoria, sull'importanza del 'non dimenticare', proprio perché di memoria non ne abbiamo. Per questo Vendola parla, parla in continuazione, si avventura in appassionate "interlocuzioni" (per usare una sua espressione). Per dirci, sostanzialmente, tre cose: i) parlate, anziché scrivere, perché per parlare occorre ricordarsi ciò di cui si parla, e così facendo esercitiamo la memoria; ii) parlate, parlate (e ogni tanto ascoltate) il più possibile, con (e da) tutti, perché tutti sono degni rispetto. Non vi devono essere discriminazioni di alcun tipo; iii) parlate con gusto, usate la parola giusta al momento giusto, non abbandonatevi a mode del momento, ma nemmeno a coltivazioni intellettualistiche da circolo culturale. Fondete lirismo e pop, siate scurrili ma non volgari, siamo nell'era del postmoderno, suvvia.

Vendola è chiaramente un uomo dei nostri tempi, con i suoi pregi e i suoi difetti, e si proietta in quello che dice. Raffinato paroliere, sa che la società odierna si basa sul 40% del vocabolario. Lui diffonde il restante 60%, e nel diffonderlo, diffonde sé stesso e le sue idee. Chi non lo farebbe?

*chiaramente Vendola non è un antico savio, ma un uomo dell'oggi, e per farsi comprendere non può fare a meno di rifarsi alle nomenclature ricevute in eredità da chi lo ha preceduto: senza dubbio personaggi che agivano e parlavano poco, per lo meno in pubblico.

giovedì 26 agosto 2010

La Bustina di Malerba. 5 : Come gestire una libreria remainders (1°parte); L'importanza di chiamarsi 'Classico' (2°parte)

Con i seguenti scritti (per i quali ho adottato una sorprendente - almeno per chi non è avvezzo alle problematiche della serialità - suddivisione in due parti) si concludono i pezzi del 2007, anno in cui iniziai e abbandonai questa rubrica. Logica vuole che dalla prossima settimana cominciassero gli inediti: ebbene, citerò quel noto poeta: Forse che sì, forse che no. Ma forse sì.


COME GESTIRE UNA LIBRERIA REMAINDERS-1° parte

Se avete la (s?)fortuna di abitare in Lombardia o in Piemonte, vi sarà senz'altro capitato di entrare in una famosa catena di librerie-remainders diffusa in varie città.
L'ingresso in una di queste librerie L. è un'esperienza incredibile, da provare assolutamente, se siete biblio/fumetto/carta stracciofili: centinaia e centinaia di costine multietniche vi guarderanno dall'alto degli scaffali, implorandovi di comprarli e portarli con voi a casetta vostra, ove potranno finalmente uscire dalla massa e divenire "qualcuno".

Ma come sono organizzate queste librerie? Nel caso vogliate aprirne una, ecco una rapida sequenza di topoi che dovete assolutamente rispettare.

Il potenziale acquirente, solitamente, è un biblio/fumetto/ecc.ecc.ofilo, come detto prima, e quindi un individuo strano. Se ha scelto di entrare nella vostra libreria L., potete stare certi che è alla ricerca disperata di almeno 5 libri universitari (che non vuole pagare a prezzo intero, cioè a peso d'oro, e di cui non v'è traccia nelle biblioteche) e di una tutto sommato capiente lista di volumi da acquistare per puro piacere (in ordine di bramosia: Borges, Wells e, nel caso, Sclavi, la lista della spesa di Eco e la saga della Guida di Douglas Adams), e che si è già girato tutte le altre librerie della catena presenti in città, fallendo miseramente; per dovere di cronaca, si tratta di un esemplare maschio sulla ventina, con faccia da beota, naso colante per il freddo, espressione da nerd, privo di compagna con cui riprodursi.

Il nostro eroe entra tronfio nella libreria L., sicuro che, finalmente, troverà i tomi ricercati. "Capperi, mi servono si e no una decina di libri, ne troverò almeno uno, no?"
Lapalissiano: la risposta sarà No.

Al piano terra si trova la libreria vera e propria, ovvero l'unico locale Lindo & Pulito di L..
Qui si trovano quantità immense di volumi firmati Bruno Vespa, Niccolò Ammaniti, Melissa P., Toto Cutugno e Peppino 'U Smandrappato che pubblica il suo diario privato, quello delle elementari; tutti quegli autori che sono i prossimi candidati al Nobel, insomma.
Al nostro amico, fuori dalla vita sociale comune, tutto ciò non interessa, perciò decide di scendere al piano sotterraneo.

La numerazione dei Piani è tutt'oggi oggetto di studio e ricerca da parte degli esperti; l'eminente antropologo arabo trapiantato ad Orbassano, Hòm Tuttdunpèzz, ha scritto:"Le librerie L. aprono le porte ad un altro mondo, quello letterario. L'utente deve, una volta entrato in una di esse, perdere coscienza di sè, e questo è incentivato anche dalla particolare numerazione dei piani: non 1,2,3, ma -1,0,1, a sottolineare la natura Infernale, Purgatoriale e Paradisiaca dei 3 livelli di lettura.".

Ciò corrisponde al vero, e il nostro nerd se ne accorge subito: Piano -1 (o Sotterraneo, o Sotterra (Regno di), o C/O Cito) è dedicato ai testi scolastici/universitari: cosa è più simile all'Inferno?
(Lo 0 è il piano Terra, quello col libro di Bruno Vespa, perciò ancora forma di espiazione, il 1° Piano è quello coi libri usati e a metà prezzo, la manna ricercata da ogni uomo dotato di buon senso).

I libri universitari sono disposti sullo scaffale con un sorprendente criterio matematico: il dove va', va'.
Scorrendo l'ordine alfabetico (che c'è solo per mantenere una parvenza umana e convincere l'acquirente ad infilare la mano nello scaffale) si possono trovare "Picone" in mezzo a "Brioschi" e "Brizzolati", "Aureli" fra "Vannucchi" e "Zanzariere" e un saggio sulle proprietà diuretiche dell'eucalipto nel settore (ah! ah!) Letteratura&Filosofia.
Comunque sia, all'amico servivano 5 libri, e non ne trova nemmeno uno.

Mentre il suo viso si fa a metà fra lo sconsolato e il preoccupato (e riflette sulla possibilità di rubarli a qualcuno) risale le scale, pronto a visitare la sezione remainders, ove spera in migliori fortune.

Attenzione! La salita/discesa delle scale non è un operazione da poco; non si sa in quanti e quali pericoli possono incappare gli ignari viandanti; diciamo che i nemici più diffusi sono i Sosteggiatori Chiacchieroni, gli Indecisi SuEGiù e i Sistematori degli Scaffali che sguainano con fiero cipiglio poderosi tomi pesanti come mattoni.


Remainders: il nome aleggia nell'aria come un pensiero di Costantino, penetra nel naso, inebria la mente. Il Nostro da una scorsa: scaffali zeppi di libri si stagliano di fronte a lui. "Sì, questa volta qualcosa troverò! Ah! Ah!"

Barcolla un poco quando si accorge che manco questi sono in ordine, o lo sono solo di facciata, ma non si perde d'animo ed inizia una puntigliosa ricerca.
I libri che sta esaminando con lo sguardo, probabilmente, sono stati di proprietà di un Minatore di Brembate che deve averli usati per ravvivare il camino, tanto sono nere le sue dita dopo averli presi in mano.
Scorre, scorre, e... niente. Nulla. Nisba. Nada. Non c'è neanche uno dei diecimila autori che gli interessavano.
"Ma come è possibile?"

(segue)


L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI 'CLASSICO'-2°parte

L'ormai ex-possibile acquirente scende le scale, supera gli ostacoli e fa' per andarsene, ma... cosa c'è lì? Uno scaffale che gli era sfuggito? Anzi, due? si avvicina: "CLASSICI".
"Oh, finalmente Borges!" la gioia gli sprizza da tutti i pori.

Non può credere ai suoi occhi, i libri sono in ordine perfetto, limpidissimo, tutto sembra andare alla perfezione.
"B..b..Boccaccio, Boccaccio, Boccaccio, Bocc..ancora?!? Brul, Bronte, Bronte, Bronte, Bronte, Burgess, Buzzati, C.. cosa???"
Ebbene sì, controlla una, dieci, venti volte... non c'è Borges.

Questa è un'altra regola fondamentale se si vuol costituire una libreria: mai, e sottolineo mai, bisogna avere i libri di Borges. Dimenticatevi questo nome.
Del resto, a chi mai possono interessare Finzioni, L'Aleph, Il libro di sabbia?
Mentre, potete esserne certi, tutti faranno la fila per comprare i libri di Emily Bronte, Anne Bronte, Charlotte Bronte, il cane delle Bronte, lo zio delle Bronte e chi più ne Bronte più ne metta.

Borges non è degno di apparire fra i classici. Kerouac, le millemila Bronte e Pietro l'Aretino sì.
Borges è uno scrittorucolo da quattro soldi, quei 2-3 libercoli che ha fatto non solo bisogna farli pubblicare dall'Adelphi a prezzi proibitivi pure per Bill Gates, ma non bisogna neppure esporli sugli scaffali.
Ecco, questo assioma è noto come Legge dei Libri Invendibili, la legge che, da sempre e ovunque, controlla le librerie di tutto il mondo.

L'amico se ne va, deluso e amareggiato, ma nonostante tutto la sua natura nerdosa riprende il sopravvento e lo spinge a comprare l'Almanacco del Mistero 2008, che lo allieterà e gli farà concludere degnamente la giornata.

E poi dicono che i libri son meglio dei fumetti! (a parte le Bronte)

(2007)