martedì 18 maggio 2010

Cos'ha ancora in serbo Enrico Ruggeri? Mistero.



Chiedete al primo passante che vi capita a tiro, ad un poliziotto che giocherella col manganello, ad un commerciante che cammina di corsa tutto sudato perché di lì a poco gli parte il treno, ad un bimbominkia qualsiasi, chiedete loro quale cantante ha segnato la storia della musica italiana (e non solo) degli ultimi cinque anni. Vedrete che tutti vi risponderanno: Enrico Ruggeri.
E sì, cari amici, non servono per forza le canzoni per essere grandi cantanti. Britney Spears cantava, forse? No, muoveva le chiappe e la lingua qua e là, eppure era una grande cantante. I Ricchi e Poveri, pure, cantano sempre e solo Sarà perché ti amo da centocinquant'anni, eppure sono grandi cantanti. Per cui, le canzoni sono secondarie. Detto questo, torniamo a noi.

Enrico Ruggeri è, fra tutti questi Grandi, è il più Grande di tutti. Perché Enrico Ruggeri, a parte l'essere un più che buono vocalizzatore, fa (ha fatto) a tutti noi il più grande dei regali: apre la mente; fa sognare.
Sentite questa:

La balalajka, la balalajka
Dentro alle case mutilate dalla faida
Ancora suona la balalajka
Lungo i giardini tra le croci e le moschee

Il fiume va piu' nero della sera
Oltre la torre e l'università
C'e' sopra il ponte una bandiera
Che sta sventolando ancora

Qui c'e' ancora la città
Qui c'e' la gente dentro al bar
Il cielo e' sopra la citta'
E ci nasconde, ci confonde e cambia
Qui c'e' tutta la citta'
La mia

E' primavera, e' primavera
Amore aspettami che c'e' una vita intera
C'e' ancora sole a primavera
Ti porto sopra alla collina e tu verrai
Sopra Dobrinja, dopo Nedzarici
Ci sono fiori dedicati a noi
Ho l'indirizzo degli amici
Li potrai vedere ancora

Qui c'e' ancora la citta'
Qui c'e' la gente dentro al bar
Il cielo e' sopra la citta'
E ci difende e sempre ci accompagna
Qui c'e' tutta la citta'
La mia

Oh balalajka, oh balalajka
Non c'e' piu' neve, brilla tutta la bascarsija
Ancora suona la balalajka
Il mio futuro voglio regalare a te
A te che sei la vita che volevo
Perche' la vita e' il sogno che farai
Sale la luna a Sarajevo
Che ci sta aspettando ancora

Qui c'e' ancora la citta'
Qui c'e' la gente dentro al bar
Il cielo e' sopra la citta'
E ci difende e sempre ci accompagna
Qui c'e' ancora la citta'
Qui c'e' la gente dentro al bar
Il cielo e' sopra la citta'
La mia

Il suono di una balalajka fende l'aria. Da dove arriva? Mistero. E il mistero, si sa, è il pane quotidiano del Ruggeri. Acqua, una fetta di formaggio e mistero. Una magica dieta, appresa da una sconosciuta tribù nelle limacciose acque dell'Olona, che gli permette, alla sua gagliarda età, di essere ancora il faro dell'immarcescibile Nazionale Cantanti (visto che le canzoni non servono?).
Siamo a Sarajevo. Il Ruggeri, alla ricerca del temibile wampyr wurdalak delle steppe, si aggira pei cimiteri, fra croci e moschee, fra case mutilate e sanguinose faide.
Come da consolidata tradizione bonelliana, v'é grande attenzione per paesaggi e ambienti. Si osservi la cruda descrizione, quasi giornalistica, della Sarajevo dei nostri giorni: la torre, l'università, la gente nei bar... e basta, alla fine le città sono tutte uguali... quelle cose le trovi anche a Forlì, insinua, con fare scientifico, il Ruggeri.
Il fiume, inquinatissimo, è nero come la sera. Il cielo, il quale si trova sopra la città (e tale puntigliosità evidenzia la lezione assorbita dal maestro Martin Mystère), ci confonde, ci nasconde. Che mai è successo? Perché cambia? Perché è arrivata la nube islandese, ovvio. Il Ruggeri, dalla dimensione del sogno, ci riporta drasticamente alla realtà.
Condizione necessaria e sufficiente per quanto arriva dopo. Il Ruggeri, difatti, sente incombere la minacciosa presenza del Maestro della Notte locale (ricordiamoci che sta per scendere la sera, nera come il fiume), pertanto deve convincere la compagna a lasciare al più presto l'amena località, onde evitare guai. Ruggeri ci dice: non affrontare il pericolo, se non sei pronto. Non sempre una ritirata è disonorevole.
Ed allora ecco le incessanti invocazioni, i disperati appelli, le 'captatio benevolentiae'. -Andiamo sulla collina, lì-, incita l'Enrico, che c'è già stato -ci sono fiori a noi dedicati. Lì ci sono i nostri amici, di cui conservo ancora l'indirizzo, e, se partiamo subito, potrai rivederli-. Già, perché se non partono sono spacciati.
Ma è palese: la geografia (sì precisa e documentata) si fa anche metafora: Dobrinja, Nedzarici, la collina sono solo nomi con cui indicare l'Eden primordiale, il Bene (DOBRInja, da dobre=buono,bravo in slavo; la collina che si eleva verso Dio), in cui riparare onde sfuggire il Male: la Città, il Progresso, il Consumismo, la Guerra (Sarajevo, tristemente nota per cose del genere) e chi più ne ha più ne metta. Banale? Retorico? Che importa: anche qui, come su Italia Uno, Enrico Ruggeri se la prende con l'establishment, con l'ipse dixit, e di questi tempi travagliati non può che essere un bene.
Ma l'establishment, quell'establishment, quello lì, sì, quello, non ama la gente che pensa con la propria testa. Enrico Ruggeri, simbolo di questa ribellione, va abbattuto. Ed è proprio questo il significato del mesto finale, del sacrificio che vede Enrico regalare il proprio futuro al wurdalak Degan, senza godere della vita che voleva.
Perché la vita è il sogno che farai. E ora che Ruggeri non è più sui nostri schermi, sognare sarà sempre più difficile.

La balalajka suona ancora, il circolo è chiuso.

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